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Il letto di Procuste

REGALO DA TRE MILIARDI

LUIGI FASOLINO - 14/06/2013

È la terza che incontro in pochi giorni e ancora una volta mi fermo a osservare le pupille verticali come quelle di un felino, le strisce scure che zigzagano fino alla coda rastremata lungo il corpicino tozzo e pressoché invisibile, mimetizzato com’è tra due pietre riscaldate dal sole – mezzo metro di vipera aspis, goffa e pigra negli spostamenti, ma fulminea quando spalanca le fauci e con le piccole zanne ricurve attacca la punta del bastone che le metto davanti, a qualche centimetro dalla testa triangolare. La guardo sparire lenta e sinuosa nel buio di una fessura, poi mi rimetto in marcia.

Già da un po’ ho lasciato il sentiero e riprendo a inerpicarmi nel bosco, scavalcando gli abeti stroncati dai fulmini e dalla vecchiaia, attento a non ferirmi con gli spuntoni dei rami e deciso ad arrivare in cima, senza sapere cosa troverò e senza una ragione precisa, forse solo per un vago e narcisistico bisogno di confrontarmi con l’imperturbabile opposizione della natura. Nel giro di un’ora eccomi accontentato: la salita è molto più scoscesa del previsto. E anche se le gambe tengono, i polmoni sono due ronzini sotto sferza.

Vado comunque avanti, finché mi trovo di fronte a una barricata naturale, un intrico di vecchi tronchi, rocce coperte di muschio, rami e arbusti del sottobosco. È troppo esteso per poterlo aggirare. Dovrei tornare indietro, ma scaccio l’idea senza riflettere, come con un insetto fastidioso. Non so dire cos’è successo veramente, il ricordo è caotico, un tumulto di immagini disordinate, quasi un’allucinazione – il terreno che cede sotto gli scarponi, l’affanno, le mani scorticate, le scivolate e le cadute, lo zaino che s’impiglia, i polpacci già saturi di acido lattico, un sapore metallico in bocca e il sudore che cola e mi fa bruciare gli occhi, insieme a uno strano senso di colpa, di sconfitta definitiva, come se dovessi pagare cara la presunzione, la tracotanza di quella decisione.

Alla fine ce la faccio. Ma devo sedermi, perché mi gira la testa e il grande tamburo del cuore sta battendo forte, troppo forte. Se me ne vado adesso non mi troveranno più. Nessuno sa dove sono e nessuno verrà a cercarmi in questo posto. Nel grande silenzio del bosco sento dietro le orecchie l’assordante espansione ritmica delle pulsazioni. Quante me ne ha concesse, quel muscoletto, da quando sono al mondo? La media di un cuore sano, lo so per certo, è di quaranta milioni di battiti l’anno, quindi ne ho avute in regalo circa tre miliardi. Un gran bel lavoro, bisogna riconoscerlo. Senza paga, né ferie, né settimana corta, né sindacati, giusto un accenno di relax notturno da calo di pressione, dinamica dei sogni permettendo. Cosa posso chiedere ancora?

Mi spruzzo sul viso un po’ d’acqua della borraccia, guardo l’orologio e faccio un gran respiro. La discesa sarà un gioco. La Terra continua a ruotare a mezzo chilometro al secondo, sono ancora vivo e ho una gran fame.

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