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Editoriale

VARESE E MARTINI

GIAMPAOLO COTTINI - 06/09/2013

I rapporti tra Varese e il cardinal Martini durante il suo lungo episcopato milanese sono stati numerosi e intensi. Perciò, ad un anno dalla sua scomparsa lo ricordiamo con affetto e riconoscenza, legando anche la sua immagine ad alcuni momenti significativi della recente storia ecclesiale varesina. Evidentemente si intrecciano ricordi personali con momenti ufficiali, ma questo permette di riconoscere la sua figura nei suoi tratti più umani.

La prima immagine che torna alla memoria è quella di Carlo Maria Martini che sale lungo le cappelle del sacro Monte accanto a Giovanni Paolo II nel novembre del 1984, recitando con lui il Rosario e accompagnandolo in mezzo a due ali di folla di fedeli convenuti sul monte sacro. Lo sguardo assorto e l’affetto nel seguire il Papa ce lo fanno vedere come vero uomo di Chiesa, il vescovo alla sequela del Pontefice che è immerso tra la gente: infatti, nonostante la sua timidezza nascosta dietro un tratto apparentemente aristocratico, egli era a suo agio in mezzo al popolo di cui era diventato pastore senza poterlo prevedere e senza desiderarlo. Lo aveva mostrato già sin dalla prima visita a Varese negli ultimi mesi della prevostura di monsignor Mario Alberti, quando appena nominato vescovo decise di cominciare a incontrare le comunità locali. Molti lo ricordano avvolto nel suo mantello scuro in piazza San Vittore con lo stesso atteggiamento con cui era entrato in Milano, volendo incontrare la gente comune per le strade della città per poter condividere la vita di tutti alla luce della parola di Dio.

Accanto al Martini pastore c’è da ricordare anche il Vescovo ieratico, chiamato a Varese dal rapporto cordiale che aveva con il Prevosto monsignor Riccardo Pezzoni per celebrazioni liturgiche solenni come in occasione della consacrazione del nuovo altare della Basilica; oppure presente sempre in San Vittore a predicare e ad ascoltare la testimonianza di alcuni laici sulla chiesa di Varese. Così la Chiesa diventava il luogo dell’incontro tra il pastore ed il suo popolo che imparavano ad ascoltarsi a vicenda davanti alla Parola di Dio. E Martini prendeva diligentemente nota di tutto con un’attenzione ad ogni cosa per poter alla fine dare una sintesi adeguata.

Tutti ricordano poi l’immagine del Vescovo maestro e uomo di cultura, soprattutto in quella memorabile serata in cui parlò insieme al Rettore dell’Università dell’Insubria del rapporto fede-scienza davanti a più di mille persone attentissime, che lo ascoltarono ammirate dalla sua chiarezza intellettuale; oppure in quell’altra serata di addio alla città dopo le sue dimissioni in cui fece una disanima critica del mondo alla fine del millennio.

Mi fu chiesto di moderare queste serate e seduto accanto a lui notai per la prima volta la sua mano tremante, segno evidente dell’incipiente esplosione del morbo di Parkinson da cui era affetto. Colpiva soprattutto la serenità e la limpidezza del pensiero, ma ancora di più la sua esplicita volontà di entrare in rapporto con la cultura della modernità, senza rinunciare in nulla alla originalità del Vangelo di cui era testimone. Non si trattava di una cattedra dei non credenti ma il dialogo tra fede e mondo laico avveniva alla luce di una certezza di verità cui il Cardinale non intendeva rinunciare.

Egli amava molto Varese e non sapeva dire di no quando monsignor Pezzoni lo invitava in città, ma bisognava andare al di là dell’aspetto esteriore, apparentemente rigido ed austero, per scoprirne l’animo profondo vibrante di autentica gioia e di grande semplicità che si scopriva nell’incontro personale faccia a faccia. Voglio concludere con il ricordo personale di un incontro con lui che ebbi a Triuggio durante un consiglio pastorale diocesano: mentre scendeva le scale prima dell’inizio della sessione di lavoro me lo trovai dinanzi inaspettatamente, e non sapendo cosa dire mi rivolsi a lui dicendogli “Eminenza vorrei dirle una cosa“. Subito ebbi l’impressione che si irrigidisse quasi a volersi difendere da eventuali domande indiscrete, ma quando fugai ogni equivoco dicendo che volevo comunicare a lui la gioia d’essere appena stato in Terra santa con la mia famiglia, il suo volto si spalancò in un gioioso sorriso e i suoi occhi azzurri si illuminarono di un’inaspettata tenerezza. Quando poi gli dissi che i miei figli erano stati molto colpiti dalla visione dei luoghi santi, mi manifestò la sua soddisfazione e mi ringraziò della gioia che gli avevo arrecato. Qualche anno più tardi lo avrei reincontrato personalmente per parlare della bellezza, tema cui dedicò una delle sue più belle lettere pastorali.

Tante altre immagini descrivono la sua presenza a Varese, ma più di tutto vale quel suo sorriso, così raro nell’austerità del suo temperamento, con cui mi ha trasmesso la certezza di ciò che vale veramente.

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