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Il Viaggio

NELL’IMPERO DEGLI INCA

CARLO BOTTI - 18/10/2013

Appena attraversato il confine tra Perù e Cile ci rendiamo conto, io e il mio compañero di viaggio, che sarebbe stato meglio fermarsi a dormire la notte tra mura peruviane e amiche, e soprattutto economiche. Infatti il Cile è carissimo. O meglio, è caro per giovani volontari italiani che vivono con trecentocinquanta euro al mese. I prezzi cileni sono simili ai prezzi europei e così dobbiamo arrangiarci a montare una tenda e a dormire in spiaggia insieme con altri viaggiatori sudamericani.

I cileni sono diversi dai peruviani. Dal punto di vista fisico sono molto più rassomiglianti agli europei: carnagione bianca e altezza sopra il metro e settanta. La cosa più importante è che sono ligi, precisi e che rispettano gli orari. Infatti più di una volta ci è capitato di perdere dei bus per spostarci da una città all’altra soltanto per esserci presentati con un ritardo di pochi minuti, alla peruviana o all’italiana…

La meta della nostra rapida sortita nel Cile – nazione ancora ricordata purtroppo per il colpo di stato di quarant’anni fa e per il suo dittatore Pinochet – è una sola: il deserto di Atacama. È il deserto più secco del mondo, più arido della Death Valley della California.

Una volta arrivati nella piccola e superaccogliente città di San Pedro noleggiamo delle biciclette e ci lanciamo all’interno dei canyon. Il panorama è mozzafiato e, se non fosse per un sellino particolarmente duro, per niente faticoso da percorrere in bici. La stessa notte veniamo abbracciati da un cielo così stellato e luminoso che anche stando a fianco di un lampione si possono vedere distintamente tutta la via lattea e le costellazioni tipiche dell’emisfero a sud della Terra, sotto l’equatore. Essendo così arido il deserto, non ci sono mai nuvole. Anche la Nasa ha spostato qui i suoi osservatori e i suoi giganteschi telescopi. E la sensazione è di sprofondare nel cielo e tra le stelle.

Attraverso qualche autostop su pick-up di anziani cileni che ci ricordano in ogni momento le storiche vittorie belliche del loro popolo contro quello – sempre impreparato – dei peruviani arriviamo finalmente a superare anche il confine con la Bolivia. È una frontiera da film. Due case nel nulla del deserto, una per la dogana cilena e una per quella boliviana. Le loro condizioni a vista sono anche l’immagine dei due paesi. La casa cilena è moderna e con computer al plasma, la boliviana diroccata con mobili vecchi e un computer gigante che per il rumore che emette ricorda un elicottero in atterraggio.

La Bolivia è un paese economicamente più arretrato ma è anche una bella notizia. Con i nostri soles peruviani finalmente qui ci sentiamo ricchi. Sistemate le pratiche, eccoci a Uyuni, cittadina nel sud del paese, nota per una delle più grandi distese di sale del mondo: quasi 11000 km². Una camionetta ci porta al suo interno per un tour di un giorno. Una meta molto turistica, a quanto pare. In ogni dove si vedono sfrecciare grosse jeep con all’ interno persone provenienti dai luoghi più disparati e con grosse reflex al collo. Gli occhi vengono abbagliati dal biancore. Senza occhiali è impossibile tenerli aperti. La piana di sale è infinita e a volte quasi… noiosa. In un’isoletta di cactus in mezzo al nulla il nostro driver ci abbandona per alcune ore e ne approfittiamo per distenderci sul pavimento freddo del deserto salino e chiacchierare del nostro incerto futuro con un compatriota – l’Italia è proprio dappertutto – conosciuto sulla stessa camionetta.

I boliviani ricordano molto di più i peruviani: bassi e tozzi (per respirare meglio in altura hanno casse toraciche più ampie) e con i nasi tipicamente indigeni. Sono molto più rilassati e ritardatari, proprio come i loro cugini inca. Non per nulla un tempo la Bolivia faceva parte del Perù con il nome di Alto Perù.
La città della Signora de La Paz è un gioiello incastonato in una valle in mezzo a montagne andine mastodontiche e la sua Valle della Luna presenta lo stesso paesaggio roccioso lunare della Cappadocia.

Ma è già tempo di tornare. Addio abbaglianti distese di sale. Di nuovo nel nostro querido Perù ci dirigiamo verso una delle sette meraviglie del mondo moderno: la ciudadela Inca del Machu Picchu. Prima di raggiungerlo ci fermiamo nella capitale storica dell’impero Inca: Cusco che deriva dalla parola quechua Qusqu che significa ombelico, centro. È davvero è una delle città più belle di tutto il Perù, ordinata e piena di stradine di ciottoli che si arrampicano lungo la collina su cui si erge la città. La discendenza e la civiltà inca trasudano da ogni muro costruito con ammirabile maestria. Le statue dei re che hanno reso grande questo paese con l’impero più vasto dell’America latina ci dominano con imponenza a ogni rotonda.

Ma arrivare al Machu Picchu è un’impresa. Ci sono vari modi a seconda delle possibilità dei viaggiatori. L’ultima città, la più vicina al Machu Picchu, è Aguascalientes. Nell’ultimo tratto la si più raggiungere solamente in treno o a piedi per i più risparmiatori e volenterosi. Noi arriviamo a piedi.

La notte la si trascorre proprio a Aguascalientes. Ci si sveglia presto la mattina. Alle quattro ci si alza e si comincia l’ultima scalata di un’ora e mezzo per arrivare al sito archeologico. I più anziani e sovrappeso possono prendere un bus che li porta direttamente fino in cima. La scalata è in piena selva quindi, oltre alla difficoltà dei gradoni, bisogna anche scacciare piccoli insetti la cui puntura provoca un gonfiore spropositato. Per intenderci io mi sono ritrovato le mani come quelle di Topolino.
La spedizione dure un paio d’ore. Verso le sei del mattino siamo in cima. La nebbia regna sovrana. A poco a poco le nubi si diradano. Ai nostri occhi si presenta uno spettacolo straordinario, ancora di più per la fatica che si è fatta per raggiungerlo. La cittadella, che si presume fosse stata costruita per i ritiri spirituali degli inca, è sotto di noi, incuneata in mezzo alle montagne. Qui regna la pace. Sembra di precipitare all’indietro nel tempo di qualche migliaio di anni. Ed è quasi un sogno girare tra le rovine, meravigliarsi della perizia nella costruzione delle abitazioni con le pietre e di un’indubitabile ingegneria antisismica, distendersi su un prato e guardare il cielo.

Il viaggio di ritorno a Lima è silenzioso, triste. Ognuno pensa a sé, al passato remoto e prossimo e ora a questa città grigia peruviana dove non esistono più le stagioni. E ci si chiede che cosa sarebbe stato e sarebbe potuto diventare questo bellissimo e civile paese senza l’invasione spagnola, senza le armi da fuoco, senza malattie nuove e sconosciute. Chi lo sa.

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