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Editoriale

CHE FUTURO

CAMILLO MASSIMO FIORI - 08/11/2013

La Spagna, come l’Italia, è stata coinvolta nella grande crisi, eppure sembra che stia uscendone più rapidamente di noi.

Anziché indugiare nella protesta, nella indignazione, nel pessimismo del “non c’è nulla da fare”, gli spagnoli hanno cercato di por rimedio agli errori (la corruzione della politica, i lasciti della guerra civile e della dittatura, le divisioni etniche regionali) e di impegnarsi in un cambiamento graduale ma anche sostanziale.

Il civismo degli spagnoli è la loro riserva morale che da noi fa difetto perché non siamo stati capaci di oltrepassare la soglia del malessere e della rabbia per por mano ad una ricostruzione morale della nostra identità nazionale.

Il passato dimenticato ci impedisce di vedere come il deludente presente sia la conseguenza di quel passato disconosciuto e l’ostacolo per costruire il futuro su basi realmente nuove. La memoria storica, anche recente, è stata cancellata e sostituita da una vulgata di comodo che ci evita di fare i conti anche con le nostre omissioni. La verità della prima Repubblica – ha osservato Ernesto Galli Della Loggia – non è stata solo Tangentopoli ma quell’intreccio di conservatorismo e di giustizialismo che ha messo in ombra un intreccio di leggi che hanno gonfiato la spesa pubblica sotto la spinta convergente di partiti (di maggioranza e di opposizione) e di sindacati e lobby di potere per ottenere il consenso a prezzo di un enorme deficit caricato sulle spalle delle prossime generazioni:

Se non si fa verità su questo intreccio di inconfessabili interessi perseguiti in complicità con le masse popolari prevale l’opinione che la colpa sia tutta e sempre del ceto politico dirigente; non ci si accorge della complessità dei problemi per la varietà degli interessi in gioco; si dà sfogo alla protesta, alla indignazione, alla rabbia, oppure ci si estranea nell’indifferenza, nell’aurea puritana di “non sporcarsi le mani” e di fatto ci si rifiuta di imboccare l’unica strada percorribile, quella della responsabilità. Gli sfoghi emotivi sono comprensibili ma essi non spostano di un millimetro la realtà se non sono sorretti e seguiti da idee, obiettivi, passi concreti in direzione di cambiamenti limitati ma verificabili. Il vacuo “nuovismo”, il cambio dei protagonisti, le speranze riposte nei leader; il radicalismo democratico sono una reazione psicologica comprensibile ma l’ossessione “nuovista” è l’altra faccia del trasformismo che cambia le forme ma lascia intatto il vecchio ordine sociale.

La miserabile realtà dei partiti non deve farci dimenticare che essi sono pur sempre il luogo della elaborazione e della direzione politica; se essi vengono svuotati di contenuti diventano degli strumenti senz’anima per favorire l’ascesa di leader gravati da attese sproporzionate e sempre più soli e isolati dalla società.

“La politica – ha scritto Thomas Mann – racchiude molta durezza, necessità e amoralità, ma non potrà mai rinnegare completamente la parte etica e umanamente rispettabile della sua natura”. Quelli che credono che dal “grande caos”, dalla “rottamazione” dei politici e dei partiti possa nascere un nuovo ordine e un diverso sistema, stanno prendendo un formidabile abbaglio.

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