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Attualità

FERMARE L’ECONOMIA DEL PRIVILEGIO

CESARE CHIERICATI - 15/11/2013

Domenica 24 novembre i cittadini svizzeri si pronunceranno sulla “iniziativa popolare 1:12 – Per salari equi” balzata all’onore delle cronache internazionali allorché venne presentata il 22 marzo scorso. In buona sostanza i promotori propongono una modifica della Costituzione federale che in poche e dimesse righe punta a introdurre nella vita socioeconomica del paese una bomba a orologeria; se dovesse essere innescata dal consenso di popolo e Cantoni – cosa peraltro improbabile – porterebbe a una revisione dei paradigmi liberisti che governano la Svizzera. Il testo in votazione dice: “Il salario massimo versato da un’impresa non può superare di oltre dodici volte il salario minimo versato dalla stessa impresa. Per salario si intende la somma delle prestazioni (denaro e valore delle prestazioni in natura e servizi) che sono corrisposte in relazione a un’attività lucrative”. Se accettata, pur con alcune eccezioni previste dai proponenti, la Confederazione dovrebbe emanare le necessarie disposizioni legislative entro due anni.

Si tratta di una reazione a una situazione sempre più deteriorata sul fronte dell’equità retributiva elvetica a partire dal 1984, anno in cui il rapporto tra salario massimo e salario minimo era di 1:6, salito nel ’98 a 1:13 e nel 2011 esploso a 1:43. Come dire che oggi un amministratore delegato di un’azienda percepisce in media uno stipendio 43 volte superiore a quello di un salario normale. Una sperequazione che raggiunge vette addirittura inimmaginabili quando si tratta di manager di multinazionali o di grandi gruppi bancari. Fanno anche i nomi i sostenitori di 1:12 nel libretto di istruzioni recapitato ai cittadini votanti e citano il caso emblematico dell’UBS (Unione di Banche Svizzere), che nel 2012, a fronte di perdite di esercizio per 2,5 miliardi di franchi, non ha esitato a versare ai propri dirigenti, a titolo di bonus, esattamente la stessa cifra.

Del resto il manager che propiziò a fine anni ’90 il fallimento della Swissair con alcune fallimentari acquisizioni di compagnie estere decotte venne liquidato con una buonuscita di 15 milioni di franchi. Insomma la Svizzera non fa eccezione nel panorama internazionale (figuriamoci l’Italia) dove gli stipendi del cosiddetto management sono diventati una variabile indipendente, un potere cinico che guarda in prevalenza all’immediato e non ai risultati di impresa di medio e lungo periodo, tanto meno alla creazione di posti di lavoro. In definitiva uno dei tanti onerosissimi pedaggi pagati alla finanziarizzazione selvaggia dell’economia mondiale sempre più povera di valori etici condivisi, minacciata e in parte colonizzata dalle organizzazioni criminali internazionali e da livelli di corruzione endemici.

Naturalmente in Svizzera hanno gioco facile le organizzazioni imprenditoriali, il mondo finanziario e in seconda battuta anche il Governo nel prospettare complicazioni al florido quadro economico elvetico qualora l’iniziativa venisse accettata. Si obbietta che molte imprese multinazionali e non solo se ne andrebbero altrove e che le imprese estere difficilmente continuerebbero ad investire in un paese che pone, per legge, limitazioni ai salari più elevati.

Non mancano neppure di sottolineare che una contrazione delle retribuzioni elevate provocherebbero una riduzione delle entrate fiscali e dei contributi alle assicurazioni sociali. Obiezioni almeno in parte fondate ma che non cancellano certo il problema posto dall’iniziativa 1:12, problema che, al di là del responso delle urne, assume in questo passaggio storico un alto valore simbolico per tutte le economie sviluppate del mondo. Già perché le democrazie sembrano aver proprio accantonato, se non del tutto abbandonato, il principio fondante che le origina contenuto nelle prime parole della Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti : “Tutti gli uomini sono stati creati uguali”, affermazione da cui deriva la modernità politica, basata sull’uguaglianza intesa come rifiuto del privilegio.

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