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Attualità

GIANCARLO CASELLI, UNA VITA IN TRINCEA

FRANCO GIANNANTONI - 22/11/2013

Va in pensione un grande “servitore dello Stato”, un magistrato che per tutta la sua lunga carriera, ha difeso la Repubblica e lo Stato di diritto, a rischio della vita.

Giancarlo Caselli sarà Procuratore capo della Repubblica di Torino sino al 28 dicembre prossimo. Poi appenderà la toga al chiodo. Un addio accompagnato da amarezze e da tormenti che potevano essergli evitati. L’ultimo torto, quello che forse ha accelerato la partenza (che avrebbe potuto essere ritardata di cinque mesi) gli è stato inflitto proprio dai suoi colleghi di corrente, Magistratura Democratica, che hanno ospitato con troppa leggerezza nell’Agenda 2014 un saggio dello scrittore Erri De Luca sostanzialmente giustificatorio degli anni di piombo. Qualche giorno fa, dopo aspre polemiche, il libello è stato ritirato ma per Caselli, un uomo stampato nell’acciaio, era stato troppo.

Come primo gesto prima di serrare la porta dell’ufficio che ha visto scorrere, dal 2008 quando aveva fatto ritorno da Palermo dove, per libera scelta, aveva voluto prendere il posto di Falcone, personaggi di ogni calibro – assassini, terroristi, corruttori, banchieri, tangentisti e altri ancora – ha inviato una lettera di saluto ai suoi collaboratori con stile asciutto si potrebbe dire “sabaudo”. Credo sia confortante leggerla oggi, assieme, in questo Paese lordato dal liquame.

“Ecco una notizia – ha scritto Caselli – che non avrei mai voluto comunicarvi ma tant’è ormai ci siamo. Ho formalizzato la domanda di pensionamento. Mi spiace lasciare il lavoro di Procura (credetemi, non è frase fatta!), lasciare tanti amici, cioè voi tutti che, ciascuno nel proprio ruolo, avete fortemente contribuito, in maniera decisiva, a fare del nostro ufficio un sistema funzionante a livelli di eccellenza. Ve ne sono e ve ne sarò sempre immensamente grato. Auguro a ognuno di voi tutto quello che spera dal suo futuro. Un grande abbraccio …”.

Credo sia questo il momento giusto per ricordare con gratitudine e rispetto questo piemontese garbato, cattolico praticante, che, quando gli capitava di muoversi fra Palermo e Torino per salutare la madre inferma, era costretto a continui cambiamenti di rotta per stornare i pericoli sempre in agguato. Per quarantasei anni è stato in trincea, prima quella del terrorismo, poi quella della mafia e della politica. Le minacce di morte sono state pressoché quotidiane. Una per tutte, il missile “aria-terra” che da un elicottero avrebbe dovuto centrarlo mentre stava assistendo in tribuna al “Filadelfia” a una partita di calcio del suo amato Torino. Morale: non riuscì più ad andare neppure allo stadio.

Brigate Rosse e Prima Linea se caddero, lo debbono a lui. Fu Caselli a raccogliere le dichiarazioni di Patrizio Peci e di Roberto Sandalo che, con Marco Barbone a Milano (procuratore della Repubblica in questo caso un identico magistrato valoroso: Armando Spataro) rappresentarono il terzetto dei collaboratori di giustizia definiti per il loro contributo testimoniale di eccezionale portata, i reali grimaldelli per sconfiggere il fenomeno.

Poi ci fu la coda siciliana immediatamente dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio. Caselli scelse di andare sul fronte di guerra più esposto a sostituire i caduti (e con lui Ilda Boccassini) trovando sullo scranno più alto di Procuratore generale Vincenzo Rovello, per anni giudice istruttore del Tribunale di Varese.

Un gesto straordinario, guardato con incredulità da molti colleghi più a loro agio su comode poltrone in uffici raramente sfiorati da drammi di quella portata. Furono gli anni delle inchieste contro i grandi mafiosi e i loro protettori; degli arresti di centinaia di boss tra cui quel Giovanni Brusca che manovrò il telecomando che massacrò Falcone, la moglie, la scorta; del processo per concorso esterno in attività mafiosa al sette volte Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, in parte condannato e prescritto per i legami con Cosa Nostra fino al 1980 e in parte assolto con la vecchia formula dell’insufficienza di prove per gli anni successivi.

Con Caselli si svolsero i processi all’agente del SISDE Contrada (condannato per mafia) e a Marcello Dell’Utri, sodale di Berlusconi, condannato anche in appello-bis.

Una meticolosa attività inquirente che gli si ritorse alfine contro quando, in corsa come candidato sulla carta vincente per la Procura nazionale antimafia, fu stoppato dal Parlamento che nel 2005 cambiò le regole vigenti, impedendo la nomina a coloro che avevano compiuto sessantacinque anni di età, lui appunto!

Tornato a Torino, che aveva lasciato come procuratore generale della Repubblica, operò da procuratore capo. Gli ultimi impegni erano stati concentrati in una sola direzione: capire chi stava trasformando la civile protesta degli abitanti della Val di Susa contro il treno superveloce nelle micce incendiarie dei No Tav. Mistero non ancora del tutto risolto.

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