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Attualità

BAGNI PUBBLICI E GIUDIZIOSI CONSUMI

CESARE CHIERICATI - 19/12/2013

Varese, corso Matteotti oggi

La Varese prenatalizia degli anni ’50, primi ’60, si snodava grosso modo attraverso le vie ancora oggi deputate allo shopping ma l’atmosfera, i colori, gli addobbi, erano molto diversi. Diciamo meno chiasso, meno sfarzo, meno pretese, nessuna luminaria a cavaliere delle strade, più tradizione, più familiarità nei negozi che facevano della loro varesinità un punto d’onore indiscutibile. Partendo dalle stazioni si risalivano via Morosini, via Vittorio Veneto, Corso Roma (oggi Aldo Moro), piazza Monte Grappa, Corso Matteotti, ancora solcato dalle auto per poi rideviare in via Sacco. Tutte strade storiche della città fitte di bar, ristoranti, negozi, alcuni davvero indimenticabili come i fotografi Morbelli e Giacobbo, il panificio Clerici, la salumeria Defendi poi Parola, poi Monti che contendeva a Vallenzasca – di recente sottoposto a eutanasia commerciale – a Tagnocchetti di via Volta e a Baratelli di piazza Beccaria il primato cittadino della gastronomia.

Nei giorni di vigilia all’esterno delle vetrine venivano appese, discretamente infiocchettate, lepri, fagiani, oche, faraone, capponi, simboli peraltro di un’abbondanza riservata a pochi e che rimandavano al celebre romanzo di Ernest Hemingway “Addio alle armi”, alla meraviglia incredula dell’autore, conducente d’ambulanze della Croce Rossa americana, al suo passaggio in una Milano vestita a festa lontana e dimentica degli orrori della disfatta di Caporetto, fine ottobre 1917.

Tuttavia la scena natalizia varesina non era occupata solo dalla gastronomia, facevano la loro parte tutti quanti: il ciclista Bronzi con le sue “Ganna” lucenti, i palmer appesi alle pareti, l’odore acre dei mastici; l’armaiolo Pizzocri, l’albergo Rosa Ticino famoso per il carrello dei bolliti, il profumiere Aldo Bianchi, milanista di lungo corso, le calze Sissì delle sorelle Keuleyan, il parrucchiere Colombo (oggi Bologna) regalava calendarietti osé alla clientela, i bar Leoni, Lombardi e Haiti, la libreria Pontiggia estinta qualche anno fa a beneficio della assai meno amichevole Feltrinelli, il nobilissimo Nisca (ora Broggi), il Verga in versione popolare nel senso che accanto a porcellane e cristalli erano esposti anche assai meno nobili sanitari e chincaglierie da cucina.

Corso Matteotti, su entrambi i lati, offriva di tutto, dai treni elettrici di Vassalli alle stoffe dei Binda fin giù al ferramenta Rizzi e al fiorista Pellegrini. Giusto a metà corso, come un faro di approdo,la Pasticceria Ghezzi, viva ancor oggi più che mai, con la sue tavolozze di impagabili dolciumi. Chiudeva il cerchio magico delle strade delle feste l’albergo Europa all’angolo Veratti –Sacco trasformato a uffici nel 1967, con la sua hall piena di comode poltrone in velluto, gli stucchi ai soffitti, i sontuosi tendaggi alle finestre, un raffinato ristorante, insomma una promessa di provinciale, rassicurante nobiltà.

Erano ancora moltissimi i varesini del centro che in quegli anni, soprattutto nelle adiacenze delle Feste si dirigevano con regolarità verso l’arcigno e muffoso complesso scolastico delle Magistrali e della Media Sacco che creava una specie di forca caudina stradale prima di poter sbucare nell’incrocio tra le vie Sacco appunto, Sanvito Silvestro e Verdi. Proprio all’inizio di questa strada verdissima dedicata al re del melodramma, incastonati nell’edificio scolastico, si incontravano i bagni pubblici della città giardino. Una scala stretta e ripidissima conduceva ai servizi di toilette, bagno, doccia e parrucchiere per uomo e donna. Un mondo di vapori, di asciugamani bianchi, di acque di colonia, di fresco borotalco. Li gestiva con professionalità e discrezione una certa signora Caravati. In prevalenza li frequentavano uomini ma anche signore e ragazze di ottimo lignaggio. La ragione era molto semplice: moltissimi edifici del centro cittadino di epoca ottocentesca, poi sostituiti da nuovi e spesso ineleganti edifici, non disponevano di servizi adeguati. Poter contare su una doccia o un bagno efficienti era un privilegio.

Nel dopoguerra poi la situazione si era fatta ancor più precaria per la scarsa disponibilità di energia elettrica e il ricorso agli scaldabagni a legna era abituale. Di ardua regolazione per l’impossibilità di controllare l’intensità delle fiamme, erano spesso all’origine di indesiderate “docce scozzesi” con inevitabili corollari di raffreddori e mal di gola. Allora molti preferivano i tepori garantiti del bagno pubblico. Chiusero alcuni anni prima dell’abbattimento del vecchio complesso scolastico. Furono archiviati come un servizio superato non più in linea coi tempi. Di pubbliche toilette con relativi servizi a Varese non vi fu più traccia. Purtroppo.

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