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Attualità

PARCO DEL TICINO, VITTORIA DEI LOMBARDI

CESARE CHIERICATI - 17/01/2014

Basta una gita a Cuggiono, seguire le indicazioni e raggiungere il vecchio ponte medioevale che scavalca il Naviglio Grande per trovarsi immersi in un angolo di manzoniana bellezza dove il grande canale lombardo corre parallelo al Ticino, il fiume azzurro, per poi scendere giù passando per Bernate, Boffalora, Magenta, Cassinetta di Lugagnano e Abbiategrasso.

Una sfilata di aristocratiche dimore come Villa Clerici che ha conosciuto, tra le due guerre, persino l’ingiuria di essere trasformata in fabbrica, come Villa Arconati in splendida decomposizione, come altre di minore imponenza monumentale ma di eguale fascino. Un patrimonio condannato a soccombere come le grandi distese boschive, le attività agricole, gli arenili, le numerosissime varietà botaniche e faunistiche presenti nel grande corridoio biologico che unisce, via Po, il Lago Maggiore e l’Adriatico.

Fu trasformato in parco esattamente nel gennaio del 1974 dalla giovane Regione Lombardia sotto la spinta decisa di una raccolta di firme senza precedenti (ventiduemila in totale) di cittadini lombardi, soprattutto milanesi e delle province di Pavia e di Varese, che chiedevano la tutela di un patrimonio pubblico straordinario già eroso da un dissennato prelievo di inerti per l’edilizia; dalle lottizzazioni striscianti per costruire ville e villini della emergente borghesia milanese di fresco arricchimento; dalla penetrazione di strade e stradine nel tessuto boschivo; dalla crescita di riserve esclusive per la caccia ai fagiani, alle pernici, alle folaghe, a daini e cinghiali; dai sempre più allarmanti sversamanti di inquinanti nel Ticino; dalla minacciosa costruzione di raffinerie e persino dalle prospezioni petrolifere dell’Eni.

Un disastro incombente cui la politica, vigorosamente pungolata dal basso, seppe dare una risposta alta pur tra mille resistenze, allarmismi e boicottaggi. In quella battaglia civile furono in prima fila personalità come l’avvocato Achille Cutrera, come Piero Bassetti, come Giulia Maria Crespi, come Fausto Bagatti Valsecchi e tanti altri. Una lunga battaglia durata tre anni condotta, senza riguardi per alcuno, dal Giornale della Lombardia, un foglio di grande formato tipo Espresso anni ’60, ormai dimenticato da tutti. Lo dirigeva Manlio Mariani, un marchigiano vulcanico, di rara umanità. Per dieci anni aveva viaggiato la Lombardia come inviato speciale del Giorno di Italo Pietra e aveva imparato ad amarla. Si gettò a capofitto nell’impresa cercando di mettere in luce i nodi di sciogliere della locomotiva economica del Paese, uno di questi era senza dubbio la tutela del parco fluviale del Ticino e delle vie d’acqua ad esso intrecciate come i Navigli, costruiti tra il 1150 e il 1256, una meraviglia idraulica che ha avuto un ruolo decisivo nello sviluppo storico della capitale lombarda, riscoperti dalla pubblica opinione solo una decina d’anni fa grazie all’azione e agli studi di un altro non milanese e non lombardo, l’architetto Empio Malara, presidente dell’Associazione Amici dei Navigli.

Le inchieste contropelo del Giornale della Lombardia richiamarono l’interesse della grande stampa milanese e della pachidermica Rai; sia pure con riserve e distinguo tutti alla fine si schierarono a favore del Parco. Qualche anno dopo diventò tale anche la sponda piemontese del Ticino integrandosi con quella lombarda. Oggi dopo quarant’anni e molte polemiche, spesso pretestuose, i numeri parlano da soli. I visitatori oscillano tra i 4 e i 5 milioni; l’area protetta con diversi tipi di vincoli è di 91.410 ettari, di cui 22.249 a parco naturale integrale; 4932 le specie viventi censite: 2.402 del regno animale, 1.144 di quello vegetale. Una sfida vinta ma mai chiusa perché incombe l’incubo aeronautico della terza pista di Malpensa che stante il sotto utilizzo delle due già esistenti non si capisce bene a cosa dovrebbe servire.

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