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Editoriale

ASSENZE

CAMILLO MASSIMO FIORI - 17/10/2014

De Gasperi al III° congresso della DC, 1949

De Gasperi al III° congresso della DC, 1949

In Occidente la democrazia non riscuote più la fiducia incondizionata dei cittadini. Dobbiamo ripensare le forme, coinvolgere le persone, cercare nuovi modi di presenza nel territorio, trasformare la rete in strumento di partecipazione.

Le “primarie” hanno indubbiamente avvicinato la politica ai cittadini ma li hanno distolti dalla partecipazione nei partiti che hanno una dirigenza mediocre e sono diventati organismi di vertici, al più dei comitati elettorali. In realtà dietro questo cambiamento vi è la trasformazione della società. L’articolazione della politica era figlia del Novecento, del fordismo che non era soltanto un modo di organizzare la produzione industriale ma un modello di società gerarchica.

Ogni secolo ha la sua forma di rappresentanza; il Seicento è stato il tempo dell’assolutismo; il Settecento è stata la fase di ascesa della borghesia; l’Ottocento ha introdotto il voto di censo; nel Novecento, dopo l’esperienza dei totalitarismi, è stato realizzato il suffragio universale.

La politica attuale è quella della delega, della rappresentanza ma la crisi di queste due forme democratiche ha travolto anche la centralità del Parlamento con il Governo ad esso subordinato e i partiti impegnati a organizzare il consenso. Il presenzialismo degli elettori non è però partecipazione ma solo una forma di mobilitazione incapace di entrare nei merito dei problemi per determinarne le soluzioni.

Nel mondo globalizzato e nell’Europa integrata il processo decisionale è cambiato; le decisioni non vengono prese dai singoli Stati e sono comunque assai complesse, al di sopra della media comprensione dei cittadini; ciò ha indebolito le istituzioni rappresentative e ha reso meno trasparenti le leggi e meno chiari i loro contenuti.

L’idea di società è stata travolta dalle macerie del muro di Berlino; il partito ideologico, fonte di verità, è stato sostituito dal partito post-ideologico, laboratorio di proposte; questo passaggio ha demolito la tradizionale contrapposizione tra destra e sinistra. Negli anni Novanta il filosofo Karl Popper suggeriva che avremmo dovuto fare a meno di una politica polarizzata da concetti inutili e dannosi, idonei soltanto a presentare fantasie del paradiso in terra.

Insieme però ai tradizionali partiti ideologici è scomparso anche un partito che tale non era: rifuggiva dalle astrazioni ma, nell’analisi e nella ricerca delle soluzioni, ricorreva ai principi e ai valori ispirati dal Cristianesimo e, attraverso quelli, cercava di realizzare un diverso modello di società. Non solo è scomparsa la Democrazia Cristiana, ma i cattolici si sono accasati nelle diverse formazioni senza farsi problemi di coerenza e di compatibilità. Colpisce soprattutto la totale mancanza di una proposta cristiana, diversa dall’imperante liberismo basato sulla primazia dell’economia finanziaria.

Il sociologo Giuseppe De Rita aveva già segnalato che “l’appartenenza cattolica è diventata un elemento del curriculum individuale, non il riferimento di una proposta politica”.

In verità il primo convegno di Todi dell’associazionismo cattolico aveva rafforzato la grande attesa di un nuovo partito di cattolici fondato su idee e progetti elaborati alla luce della dottrina sociale cristiana, ma il progetto è stato affossato dai maneggi di qualche alto prelato conservatore. È stata invece riconfermata la proibizione (ingiustificata) al laicato cattolico più consapevole e preparato di contribuire alla politica italiana evidentemente in grave crisi di sbandamento e di credibilità.

Ovviamente la distinzione tra religione e politica non era posta in discussione: la laicità è diventata un patrimonio nazionale; tutti hanno il diritto di affermare nello spazio democratico le proprie idee, le proposte e una visione condivisa della società. È emersa invece l’inerzia di una irresponsabile classe culturale di matrice cattolica; i cattolici sono rimasti esclusi dalla possibilità di esercitare una loro originale opzione politica, incapaci di qualsiasi intervento contro palesi ingiustizie, privilegi vergognosi, una corruzione dilagante ben oltre i fragili argini eretti ai tempi della Prima Repubblica. Hanno sostanzialmente abdicato ad ogni impegno collettivo di difesa dei diritti inalienabili delle persone.

Le testimonianze personali non mancano ma le buone intenzioni non bastano, per influire sulla società servono i numeri; dietro questi ci deve essere un’organizzazione guidata da laici eticamente credibili e tecnicamente attrezzati perché – scriveva John Stuart Mill – “ non si possono fare grandi cose con piccoli uomini”.

Oggi la “cattolicità” è carente di grandi personaggi laici ma anche di pastori “non clericali” anche per liberare la Chiesa dalla necessità di immergersi nella melma della politica.

Cosa sarebbe stata l’Italia del dopoguerra senza la DC di De Gasperi, di Moro, di La Pira ma anche senza la Chiesa di Pio XII, di Montini, di Lercaro, di don Mazzolari?

I cattolici possono ovviamente militare legittimamente nelle diverse formazioni politiche ma hanno anche il diritto-dovere di mobilitare la ricchezza di riserve umane, di competenze di un vasto mondo di gente onesta, laboriosa, solidale.

Ha scritto recentemente Dario Antinori sul Corriere della Sera: “le truppe ci sono, motivate; chi ha disertato è lo stato maggiore popolato da personaggi che scambiano la propria fallimentare autobiografia per la storia del mondo”. È questa esangue intellighenzia che si è arresa alla realtà ove prevalgono altre idee ed altre nuove ideologie non meno totalizzanti di quelle del passato.

Rinunciando a progetti chiari e coerenti e al senso di responsabilità dimostrato nella secolare esperienza del movimento democratico cattolico ci si deve chiedere: chi ha tradito l’appello di don Luigi Sturzo agli “uomini liberi e forti” ?

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