Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Attualità

LA PROFEZIA DI PAOLO VI

CAMILLO MASSIMO FIORI - 07/11/2014

paolo VITre domeniche fa la Chiesa cattolica ha celebrato due eventi importanti: la conclusione del Sinodo dei vescovi e la beatificazione di Paolo VI.

Al di là della casualità c’è sicuramente una correlazione tra i due avvenimenti: Paolo VI è stato il pontefice che più di ogni altro ha compreso che la modernità è un fatto positivo per l’umanità, ma essa porta con sé un mutamento antropologico che sconvolge la nostra civiltà.

Il suo successore, papa Francesco ha coraggiosamente affrontato i tempi moderni per tornare a riflettere su questa fase epocale dell’umanità. “Dio non ha paura delle novità, ma bisogna prendersi cura delle ferite che sanguinano”. La Chiesa e la società avrebbero dovuto da tempo porsi le domande giuste sulle questioni riguardanti l’idea complessiva dell’essere umano e il suo destino entro il disegno della creazione e il rapporto della quotidianità morale delle persone rispetto a tale fine.

Lo ha intuito Paolo VI insieme al vescovo Ratzinger ma solo adesso la Chiesa ha deciso di affrontare in modo completo i grandi temi della sessualità, della procreazione, del matrimonio, del rapporto tra i sessi. Non sono soltanto le conseguenze della modernità nei comportamenti umani ma sono lo specchio di una rivoluzione antropologica che ha sovvertito i principi e i valori sui quali si è costruita la nostra civiltà. Sono le “domande” che il professor Ernesto Galli della Loggia ha posto nel suo intervento su “Corriere” del 20 Ottobre. “Come è accaduto che negli ultimi decenni un ampio numero di fedeli non seguissero più gli indirizzi della Chiesa?”, “Che nella propria vita quotidiana essi si discostassero non solo dagli aspetti secondari bensì da quelli basilari del suo insegnamento?”, “Che non accettassero più la sua concezione dell’essere umano, del rapporto tra i sessi, della trasmissione della vita?”, “Com’è accaduto che questa gigantesca impalcatura culturale che aveva tenuto il campo per secoli sia oggi sul punto di sbriciolarsi?”, “Che proprio in questa parte del mondo storicamente cristiano forze e tendenze estranee se non ostili siano in grado di prevalere e di dettare stili di vita e di pensiero?”, “È possibile che tutto quanto è accaduto e sta accadendo non implichi responsabilità da parte della gerarchia, del mondo cattolico e dei suoi esponenti intellettuali?”.

Tutto ciò non può essere liquidato come “segno dei tempi” perché il cambiamento non è avvenuto né deterministicamente né provvidenzialmente, ma è stato voluto, preparato e costruito dalla volontà dei popoli che appartengono alla civiltà cristiana.

Quando Paolo VI scrisse l’enciclica “Humanae vitae” non solo contestò l’idea di una zona della condotta umana percepita come moralmente irrilevante ma cercò con pazienza e fatica di distinguere e di porre in relazione la legge morale naturale e la legge evangelica per presentare con franchezza istanze che alimentano e orientano la coscienza in modo retto. È incredibile che quel testo profondo e pacato sia stato declassato a un insieme di regole proibitive e non accettato come riflessione preoccupata ma anche fiduciosa della fede divina.

La Chiesa oggi è sfidata a porre in discussione il modello democratico e individualista; occorre partire dalla condizione storica dell’uomo e dalla metamorfosi della famiglia. I fatti non si possono piegare ma la Chiesa resta convinta che il matrimonio è l’architrave del legame intergenerazionale; gli esseri umani non possono essere concepiti soltanto come un aggregato di cellule, bensì come soggetti personali, unici e irripetibili. Non si tratta quindi di cambiare, di innovare ma di riscoprire un piano nuovo e più avanzato scartando ciò che non è essenziale.

Papa Francesco non ha in mente un risultato prefissato ma vuole rimettere in cammino la Chiesa senza arroccarla nelle sue millenarie convinzioni. La Chiesa Cattolica è forse l’unica istituzione sopravissuta alla modernità; tutto si può dire e fare, salvo che mettere in discussione il ministero petrino. Questo passaggio straordinario che sta compiendo papa Francesco non è l’arbitrio del potere ma è l’autorevolezza che fonda la comunità ecclesiale. Francesco non dice ciò che si deve fare ma ha piuttosto in mente un orizzonte di senso verso cui tendere attraverso un cammino comunitario. La discussione ha senso solo se si riconosce il suo limite: vale per la Chiesa ma anche per le istituzioni democratiche se vogliono realizzare il principio della governabilità.

Il papa è il capo e il fondamento visibile dell’unità della Chiesa; questa è considerata in ritardo perché continua a considerare l’omosessualità come non conforme al nostro essere che è articolato in due sessi dal punto di vista organico, psicologico e antropologico.

È giusto tutelare i diritti (veri) di tutti ma per farlo non c’è bisogno di riconoscere le coppie, come tali, basta affermare i diritti del singolo. Negli anni Settanta il marxismo era considerato un orizzonte insuperabile. Poi sono sopravvenute aspettative diverse e il pensiero di Marx non interessa più; potrebbe accadere qualcosa di analogo anche con l’attuale deriva liberista e individualista.

Più di ieri, Chiesa e democrazia sono oggi intimamente legate dal rischio comune che non ci sia più nulla di condivisibile e di comune. Siamo a un nodo cruciale della storia umana; solo un’autorità di servizio, non cinica, non autoritaria, può farsi garante della ricerca di un bene più alto che può rimetterci in cammino senza rinunciare alla ricchezza ma anche alla problematicità dei nostri punti di vista.

Dice Alberto Melloni: “Non basterà essere prudenti e starsene sub Petro perché del Signore, del Maestro, Pietro è solo il vicario”.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login