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Editoriale

VANGELI

MANIGLIO BOTTI - 21/11/2014

evangelisti

I simboli degli evangelisti nell’Abbazia di Viboldone

Nella rubrica che il giornale l’Espresso gli riserva ogni due settimane – “Il vetro soffiato” –, Eugenio Scalfari se l’è presa un po’ con il suo amico – chi sa se lo è ancora – Pietro Citati, critico letterario, saggista e anche – sottolinea Scalfari – eccellente romanziere, che ha avuto l’ardire di pubblicare un libro sui Vangeli (152 pagine, edito da Mondadori). Dopo le biografie di personaggi illustri – tra gli altri Goethe, Kafka, Zelda e Francis Scott Fitzgerald, Tolstoj, Leopardi… – stavolta Citati ha raccontato i principali passi della storia di Gesù così come appaiono descritti nei Vangeli di Matteo, di Marco, di Luca e di Giovanni.

Ma può, dice in sintesi Eugenio Scalfari, uno scrittore come Citati (prima critico letterario del Giorno, poi del Corriere, quindi a Repubblica per una ventina d’anni e oggi di nuovo al Corriere della Sera), nonostante sia molto bravo, anzi così bravo da trattare la vita dei suoi personaggi e dei loro testi quasi fino al punto di identificarsi in essi, di interpretarli e di riscriverli, raccontare la storia della vita di Gesù, del figlio di Dio, di Dio stesso? E procedere con assolutezza scrivendo: Gesù disse, Gesù ha fatto, Gesù ha compiuto, sapendo che i testi dei Vangeli da cui egli attinge non hanno – a giudizio di alcuni studiosi e anche di Scalfari – la certezza della veridicità?

È una questione antica i cui termini hanno riempito e riempiono, da un paio di millenni, le biblioteche. Scalfari, che si definisce miscredente, e per il quale dunque i Vangeli non sono “fonti della sacra parola”, critica Citati che invece si muove lungo la linea di verità da lui riconosciute, oltre tutto senza essere nemmeno un mistico per dirla – la citazione è proprio di Scalfari – con Sant’Agostino, ma soltanto un bravo scrittore.

Anche l’opinione di Eugenio Scalfari, tuttavia, sembra muoversi e basarsi su presupposti “assoluti”. Vero è che alcuni tra i più moderni esegeti dei Vangeli – per esempio i Vangeli di Matteo e di Giovanni – non riconoscono la paternità, diciamo così, autoriale dell’estensore, attribuendola ad altri o, per esempio, nel caso di Giovanni a scuole. È altrettanto vero, però, che queste interpretazioni non sono univoche: altri studiosi, anche moderni, si sono mantenuti in linea con la tradizione. E perciò, per quanto riguarda i critici “negazionisti”, le loro tesi sono illazioni, frutto di studi e di pareri e non di certezze. Lo spirito del dubbio dovrebbe sempre aleggiare in Scalfari che oltre a essere un grande giornalista è anche un filosofo. E poi, sapere che non sono stati Matteo o Giovanni a scrivere in prima persona, ma altri che hanno ascoltato i loro racconti che cosa cambia in chi crede?

Il racconto della vita di Gesù è impresa nella quale si sono cimentati nel passato altri famosi autori, vivendo la difficoltà della prova e talvolta, come l’abate Ricciotti, anche lo sgomento e la paura. Pietro Citati non si immedesima né reinterpreta né riscrive: semplicemente, com’è capace, riprende le narrazioni dei Vangeli, le spiega, le ricorda bene, le sottolinea.

Su tutto si innalza con evidenza il problema della fede. Ovviamente la lettura e l’attribuzione di verità ai Vangeli – così come appare chiaro nell’insegnamento di Gesù – tocca in particolar modo i miti, i buoni di cuore, gli umili, i povericristi, in definitiva anche i meno acculturati. E forse il fatto che ora lo riconosca e ne discuta con un discreto seguito un profondo intellettuale come Citati – alla pari o più efficace di Scalfari stesso – può dare un po’ di fastidio e suscitare, magari, anche qualche risentimento.

Per concludere, nella sua reprimenda sull’Espresso, Eugenio Scalfari parla di un’illustrazione da parte di Citati dei “quattro Vangeli sinottici”. In realtà i sinottici sono tre (Matteo, Marco e Luca); probabilmente Scalfari voleva dire “i quattro Vangeli canonici”. Ma questo, in fondo, considerata la sostanza dell’argomento, è un erroruccio che anche il più severo dei professori evidenzierebbe solo con la matita rossa. A Scalfari la parola giusta è rimasta nei tasti del computer o, come si diceva un tempo, nella penna: un lapsus calami. Che però, come tutti i lapsus, può significare qualcosa.

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