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Cultura

IL BRAMANTE IN LOMBARDIA

PAOLA VIOTTO - 23/01/2015

 

Alla fine del Quattrocento, negli anni in cui la Milano sforzesca era una delle capitali artistiche d’Italia, dominata dalla figura di Leonardo, il nobile milanese Gaspare Ambrogio Visconti possedeva una ricca dimora frequentata da artisti e filosofi. Qui si incrociarono le strade di due personaggi assai diversi: Donato Bramante, uno dei più famosi architetti del Rinascimento, che di lì a qualche anno papa Giulio II avrebbe incaricato di ricostruire la basilica di San Pietro, e un giovane umanista di Maccagno che era il precettore dei figli. Proprio lui, Domenico Macaneo, scrivendo nel 1490 la Descrizione del Lago Maggiore, ci lasciò una delle poche tracce documentarie del passaggio di Bramante in Lombardia, descrivendolo mentre visita le cave del territorio verbanese per cercavi i migliori materiali da costruzione.

È questo uno dei fili sottili usati dai curatori della mostra “Bramante a Milano”, attualmente in corso a Brera, per ricostruire la stagione lombarda dell’artista. Fu una stagione lunghissima, durata dal 1477 al 1499, ma che rimane tuttora per molti aspetti misteriosa, tanto che oggi l’attività di quell’”uomo singolare” che fu architetto e pittore, ma anche cosmografo, poeta e studioso di prospettiva, appare inafferrabile quanto quella di un fantasma. La sua partecipazione alle grandi fabbriche di Santa Maria presso San Satiro e di Santa Maria delle Grazie non è documentata, ma dedotta da ragioni stilistiche. E ci sono giunti soltanto pochi frammenti degli affreschi, con cui aveva decorato palazzi pubblici e dimore dell’aristocrazia.

Il cuore della mostra è costituito proprio da questi affreschi, di cui Brera custodisce il nucleo più numeroso, poiché vennero trasportati in museo nell’Ottocento, al momento delle demolizioni di molti edifici antichi. Nell’allestimento espositivo sono stati collocati molto in alto, in modo da ricostruire l’effetto originario di classica solennità dei grandi saloni in cui si muoveva la nobiltà milanese, a cominciare dal ciclo degli uomini illustri commissionati appunto da Gaspare Ambrogio Visconti. Rispetto alla collocazione normale in Museo, che abbassandoli all’altezza del visitatore ne permette l’osservazione ravvicinata ma ne sacrifica l’aspetto scenografico, l’impatto è senz’altro notevole. Stesso discorso per il frammento che apre la mostra: l’affresco con Chilone, uno dei sette saggi dell’antica Grecia, dipinto nel 1477 nel Palazzo del Podestà a Bergamo. È la prima opera di Bramante in Lombardia, ma non può essere considerata un’opera giovanile dato che l’artista, nato intorno al 1444, lo eseguì quando aveva ormai superato da un pezzo la trentina. Vi si vedono con chiarezza le influenze dei due pittori che maggiormente influenzarono il suo stile, Mantegna e soprattutto Piero della Francesca, che Bramante aveva conosciuto durante gli anni di formazione ad Urbino.

Il suo arrivo in Lombardia non passò certo inosservato. Nel 1481 Bernardo Prevedari realizzò su suo disegno la grande stampa nota come “Incisione Prevedari” un capolavoro di abilità prospettica. Il foglio fece un’enorme impressione sugli artisti lombardi, che ne trassero immediatamente degli spunti. La mostra ne presenta diversi esempi, dalla scultura alla vetrata, compresa un’opera del cosiddetto Maestro di Trognano, l’intagliatore che realizzò tra l’altro l’antico altare ligneo di Santa Maria del Monte a Varese.

Secondo l’ipotesi interpretativa della mostra Bramante influenzò infatti l’arte lombarda più ancora dello stesso Leonardo. L’ultima sezione è così dedicata a tutte quelle personalità che ne rielaborarono la lezione nel decennio finale del secolo, prima della partenza dell’architetto per Roma, dove avrebbe raggiunto i vertici della fama, e della caduta di Milano nelle mani dei Francesi. Vi troviamo Zenale e Bergognone, ma soprattutto quel Bartolomeo Suardi che non a caso prese il soprannome di Bramantino e a cui Lugano ha appena dedicato una mostra. Si sta infatti verificando in questi ultimi anni un rinnovato interesse per il Rinascimento lombardo, prima e dopo la fine del dominio sforzesco.

La mostra di Brera, organizzata in occasione del quinto centenario dalla morte di Bramante, fa inoltre parte di una linea ormai seguita da qualche tempo dall’istituzione milanese. È infatti una rassegna che parte dalla valorizzazione e dalla rilettura di pezzi della collezione permanente, a cui sono accostate opere provenienti da altri musei e da collezioni private. Questo rapporto continuo tra mostra temporanea e percorso espositivo consueto, all’interno del quale la mostra è allestita senza barriere di separazione, può essere talora spiazzante, ma ha il grande merito di far guardare con occhi nuovi cose magari notissime, come la tela con il Cristo alla colonna proveniente da Chiaravalle. Rispetto alla ricchezza di spunti che la visita offre, lo smilzo catalogo appare anche troppo essenziale, ma è annunciata tra breve la pubblicazione del volume con gli approfondimenti critici.

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