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Cultura

I VARESINI ILLUSTRI

SERGIO REDAELLI - 27/02/2015

Lapide a Luigi Sacco (foto EDC)

Lapide a Luigi Sacco (foto EDC)

Un dizionario biografico dei varesini, non solo di quelli illustri ma di chiunque meriti di essere ricordato per le più svariate ragioni. È il progetto a cui sta lavorando il professor Giuseppe Armocida, presidente della Società storica varesina, con l’aiuto di numerosi collaboratori scelti tra gli storici di casa nostra. A che punto è il lavoro? “Abbiamo già più di mille nomi – risponde Armocida – è un progetto che va avanti da diversi anni, è nato da un’idea della Società storica varesina ed è poi passato al Centro per le storie locali e le diversità culturali dell’Università dell’Insubria. Dovrebbe essere l’ultimo volume della Storia di Varese. Si farà se si faranno tutti gli altri volumi che mancano, altrimenti lo pubblicheremo per conto nostro. Ai mille nomi del passato stiamo aggiungendo quelli più recenti, il tenente Guglielmo Mozzoni, lo stilista Ottavio Missoni, tanto per fare degli esempi”.

 “Il lavoro va avanti – aggiunge Armocida –. È facile ricordarsi dei pittori, dei poeti, dei militari ma spesso capita di dimenticare gli uomini che fanno la vita di tutti i giorni, dei grandi professionisti, degli avvocati, degli economisti. Ne abbiamo avuti e vanno riscoperti. Un pittore della domenica è più famoso a volte di un grande avvocato che discuteva le cause dei varesini in Corte di Cassazione a Roma. La storia della città non è fatta solo da Magatti o dal Cairo, da Piero Chiara o Morselli, ma da tante persone che hanno lavorato bene ed è giusto conservarne la memoria. Per fortuna abbiamo i documenti e per i personaggi più recenti cerchiamo i familiari. È storia e cronaca insieme, la cronaca serve per scrivere la storia, anzi è la base della storia”.

Giuseppe Armocida è medico psichiatra, professore ordinario di storia della medicina all’Università dell’Insubria, presidente della Società storica varesina e autore di decine di libri e articoli di carattere medico e storico. Negli anni novanta è stato sindaco di Ispra e assessore a Palazzo Estense dal 1997 al 2002. È un uomo dai molti interessi, un personaggio che conta nell’ambito universitario, culturale e amministrativo.

Nel 2011 il sindaco Fontana lo volle come consulente del Comune per le celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia. Ma come si deve giudicare il primo secolo e mezzo di vita dell’Italia unita? Esiste davvero un sentimento nazionale, un’educazione comune al rispetto del Paese? O invece ognuno pensa a sé e c’è l’anarchia?

“Vede, il nostro primo deputato, Giuseppe Ferrari, era contrario all’Unità d’Italia. Lui la voleva federata. A differenza di Carlo Cattaneo che non si espose mai e che tutti ricordano, Ferrari andò in parlamento a combattere. Lui diceva che l’Italia era un Paese dalle molte città, non è come la Francia che ha Parigi; l’Italia ha Milano, Napoli era la più grande città di allora, ha Roma, Firenze, Venezia e gli italiani sono tanti. Lui diceva: dovete fare in modo che siano federati tra loro e andranno d’accordo, ma non potete dargli una regola comune perché non funziona. Dopo è andata bene, per carità, siamo stati tutti contenti, è la nostra storia; ma io ho dico: non parliamo dell’Italia di 150 anni fa, guardiamo che cosa è successo in questi centocinquant’anni. L’Italia è quella di allora, i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri restano poveri. Come nel 1861”.

Tra le tante attività che svolge, il professore dirige la rivista “Biografie mediche”, il periodico del Centro studi del santuario dei medici d’Italia a Duno, in Valcuvia, che racconta le vite dei “camici bianchi” di tutti i tempi e le nazionalità. “Una lapide nel santuario di Santa Maria del Monte ricorda Giambattista Biumi, il medico privato di papa Pio IIII che esercitò tanti secoli fa, quando la medicina se la potevano permettere in pochi. Quella moderna ha solo duecento anni di vita e si affida alle scienze di base come la chimica, la fisica, la matematica. Parlando degli ultimi due secoli, a Varese dobbiamo partire da Luigi Sacco, uno straordinario medico nato all’angolo tra la via a lui intitolata e via Bernasconi. Fu l’apostolo della vaccinazione antivaiolosa tra il Sette e l’Ottocento e diresse l’ospedale Maggiore di Milano che era il primo in Lombardia”.

“Il suo merito fu riuscire a far vaccinare centinaia di migliaia di persone con un vaccino preso su una mucca che pascolava a Casbeno. Il Sacco notò che l’animale aveva una pustola sulla mammella e di lì iniziò il suo lavoro. Grazie alla sua scoperta, un vaccino italiano fu utilizzato per la prima volta anche all’estero. Scrivere di un medico non è solo ricordare chi era e che cosa ha fatto, ma attraverso la sua vita si comprende la società in cui viveva. E poi il medico è l’uomo della speranza – osserva Armocida –, la speranza di guarire quando è possibile e se non può più sperare di guarire, il medico è come il sacerdote; e deve condividere il compito di dire a chi sta per morire che non muore solo un corpo, ma che qualcosa sopravvive. Questo il medico lo deve fare. Il medico è un uomo di religione e se non è un uomo di religione, cambi mestiere”.

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