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Editoriale

BENEFICIO

GIUSEPPE ADAMOLI - 20/03/2015

elezioniSe si votasse con la legge elettorale in vigore, cioè il famoso e infausto “Porcellum” modificato dalla Corte costituzionale, avremmo un sistema proporzionale del tutto inadatto all’Italia di oggi che ci regalerebbe un Paese pressoché ingovernabile.

Molti ricordano che con la legge proporzionale l’Italia è stata governata per tutta la Prima Repubblica ma dimenticano che la grande stabilità politica (i governi cambiavano ogni anno ma è un altro discorso) era dovuta ad un sistema politico che non c’è più, spazzato via da tangentopoli, dalla caduta del muro di Berlino, dall’inesorabile venir meno dell’unità politica dei cattolici.

Il fulcro della nuova legge elettorale, a cui manca l’approvazione della Camera, è costituito da un premio di maggioranza per la lista che supera il 40%, o che vince il ballottaggio, facendole guadagnare il 55% dei seggi. Tra i costituzionalisti è in corso un’accesa discussione tecnica sul profilo di legittimità di questa legge. Non entro certo in questo merito ma penso che il passaggio dal proporzionalismo al sistema maggioritario sia positivo e irreversibile.

Alcuni politici e giornalisti sostengono perfino che questa legge darebbe una spinta verso la “deriva autoritaria”. Spesso sono gli stessi i quali affermano che il PD potrebbe pentirsene in quanto, se perdesse il ballottaggio, potrebbe consegnare il Paese ai Cinquestelle come avvenuto nei Comuni di Parma e Livorno. Ma semmai questo dimostrerebbe la democraticità di una legge che potenzialmente può andare a favore di qualsiasi forza politica.

Questi paradossali paragoni con la legge elettorale dei Comuni affiorano perché Renzi ha dichiarato che il premier sarà il “sindaco d’Italia”. Una definizione che ha fatto fortuna ma che è assai discutibile per mille motivi. É il Parlamento che è la sede della sovranità popolare, dà e revoca la fiducia al governo, approva tutte le leggi. Inoltre, e anzitutto, il Presidente della Repubblica è la prima autorità istituzionale e morale del Paese, dura sette anni e non è revocabile. L’immagine del premier come sindaco d’Italia è destituita di ogni fondamento.

La legge è messa in discussione (anche da parte della minoranza PD) per i capilista bloccati nei cento collegi in cui sarà suddivisa l’Italia. Nessuna obiezione se si apre alle preferenze ma va ricordato che coloro i quali oggi le vogliono sono largamente gli stessi che fin a un paio di anni fa le consideravano un veicolo di corruzione. Lecito cambiare opinione ma bisognerebbe almeno ammetterlo.

Forza Italia aveva approvato al Senato la legge elettorale ed ora minaccia di non votarla più alla Camera. Difficile da comprendere questo capovolgimento. Ha però qualche giustificazione sulla base degli interessi peculiari. Ha, sì, ottenuto i capilista bloccati ma il premio alla lista e non alla coalizione rende più difficile il disegno berlusconiano di rimettere insieme i cocci del centrodestra.

Gli altri partiti a ben vedere hanno ciascuno il proprio vantaggio. Grillo può sperare di arrivare al ballottaggio come seconda lista. La stessa speranza del ballottaggio (anche se più piccola) potrebbe nutrirla Salvini mentre Vendola, Alfano, Casini e Meloni con la soglia di accesso del 3% per la Camera, e con la possibilità di candidarsi in tanti collegi (fino a 10), hanno l’assicurazione di essere ancora eletti.

In realtà, giudicare la legge elettorale con il metro degli interessi immediati è sempre sbagliato e può essere un boomerang. Va detto però che il beneficio più grande l’avranno gli italiani che la sera stessa delle elezioni sapranno chi li governerà per cinque anni.

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