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Incontri

IL MATTEO DI CARAVAGGIO

GUIDO BONOLDI - 27/03/2015

???????????????“Tutto nella nostra vita, oggi come al tempo di Gesù, incomincia con un incontro. Un incontro con quest’Uomo, il falegname di Nazareth, un uomo come tutti e allo stesso tempo diverso”. Si tratta di una frase ricavata dal recente discorso di Papa Francesco all’Udienza con il movimento di Comunione e Liberazione del 7 marzo scorso. Sempre a proposito dell’incontro il Papa ha anche detto: “mi viene in mente La vocazione di Matteo, quel Caravaggio davanti al quale mi fermavo a lungo in San Luigi dei Francesi, ogni volta che venivo a Roma. Nessuno di quelli che stavano lì, compreso Matteo avido di denaro, poteva credere al messaggio di quel dito che lo indicava, al messaggio di quegli occhi che lo guardavano con misericordia e lo sceglievano per la sequela”.

Nel famoso quadro il volto di Matteo, illuminato dal raggio di luce che entra nella stanza insieme a Gesù, esprime tutto il suo stupore per quella chiamata inaspettata, come ha scritto uno dei più grandi studiosi del Caravaggio, Alfred Moir “la drammaticità della rappresentazione risiede nel fatto che in quell’attimo nessuno si muove. L’apparizione di Cristo è giunta talmente inattesa e il suo gesto ha tanta autorità, che l’azione si interrompe per un istante colmo di sorpresa, prima che la reazione possa aver luogo”. Come ha notato anche Bergoglio: “[Matteo] sentiva quello stupore dell’incontro”.

Ma il Matteo di Caravaggio chi è? L’interpretazione più accreditata, che risale al primo biografo del pittore, Giovan Pietro Bellori, e che passa per i più grandi studiosi del Merisi, dal già citato Moir a Roberto Longhi, non ha mai dubitato nel riconoscere Matteo nell’uomo al centro della tavola, ben vestito e dalla barba curata, con il volto e la mano sul petto illuminati dal raggio di luce. Ma chi indica quella mano? Se stesso o un altro? Negli ultimi decenni è stata avanzata da alcuni critici d’arte, come Andreas Prater e Nicholas De Marco, una interpretazione rivoluzionaria, che è stata ripresa recentemente da Sara Magister: Matteo non sarebbe l’uomo con il volto illuminato, ma il giovane seduto a capo tavola, con la testa china, tutto intento a contare i soldi delle imposte (Matteo avido di denaro, come ha detto il Papa).

Questa interpretazione presenterebbe dei risvolti suggestivi, se confrontata con quanto affermato da Papa Francesco riguardo al modo con cui Cristo chiama. “Gesù Cristo ci precede sempre; e quando noi arriviamo, Lui stava già aspettando”. Il nuovo Matteo è già stato chiamato, ma lui non se ne è ancora accorto; se ne accorge l’altro personaggio, che stupito si chiede, “ma veramente chiami lui?”.

Il Papa ha anche detto, nel punto che ho sentito come il passaggio più profondo del suo discorso del 7 marzo: “il luogo privilegiato dell’incontro con Cristo è il mio peccato”. E il nuovo Matteo viene chiamato da Gesù mentre sta contando il frutto della sua attività di usuraio, proprio mentre sta commettendo il peccato.

Ma al di là di chi sia Matteo, il messaggio chiave del quadro è il fatto che Gesù entra, non in una chiesa, ma in una taverna, per chiamare un peccatore, lo chiama a diventare suo amico.

Allo stesso modo Gesù entra nella nostra vita e ci chiama, ci chiama perché ci ama.

E noi? Sorge la domanda che pone una lauda del XVI secolo “lasceretelo voi per altro amore?”.

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