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Cultura

BODINI E IL PAPA DI BRONZO

SERGIO REDAELLI - 03/07/2015

L’inaugurazione della statua con Bodini, Macchi e Andreotti

L’inaugurazione della statua con Bodini, Macchi e Andreotti

Dieci anni fa moriva Floriano Bodini e una visita alla grande statua bronzea di Paolo VI a Santa Maria del Monte è l’occasione per osservare l’opera da vicino e per scoprirne i tanti significati simbolici con la guida illuminante di Laura Marazzi, conservatrice del museo Baroffio. La statua si trova sotto la chiesetta dell’Annunciata accanto all’ingresso del centro di spiritualità delle Romite. Fu realizzata nel 1986 e testimonia lo stretto rapporto che legava l’artista di Gemonio a monsignor Pasquale Macchi che gliela commissionò, quand’era arciprete al Sacro Monte, per onorare la memoria del papa morto nel 1978.

Macchi, prodigo di consigli, scrive all’artista nel 1982 mentre questi sta ancora lavorando: “Penso che la tua opera è destinata a ricordare Paolo VI per ora ai contemporanei e poi ai posteri. Quindi deve aiutare a conoscerlo e a scoprire la sua natura profonda, umana e religiosa. Dovrebbe essere un’opera che sia una generosa sfida: per chi ha interpretato Paolo VI come un Papa triste, mentre era serio e pensoso di fronte a mille problemi del suo e del nostro tempo; per chi ha giudicato Paolo VI un Papa equivoco ed incerto, mentre era consapevole delle diverse e contrastanti situazioni; per chi ha interpretato Paolo VI come Papa di parte, mentre era tutto proteso ad operare per la pace e la composizione dei diversi conflitti, con pazienza e personale sacrificio”.

Nella statua Montini veste l’abito vescovile e sembra guardare lontano, oltre le cappelle che si susseguono fino a valle, oltre il verde dei boschi, oltre le ville e le case, fino a Milano. Spiega l’artista: “Insieme (all’arciprete) concordammo la collocazione: in alto, sopra le cappelle, una piccola piazzuola, contornata da grigi muri di malta e pietra. Da un lato il convento di suore, dall’altro, il campanile e la canonica, in fondo l’accesso al santuario… sul lato più lungo si apre un panorama vasto, classicamente lombardo… entrare in un simile paesaggio, senza disturbare l’intima composta scenografia, rispettandone i ritmi, era un’impresa di per sé difficile”.

Montini è ritratto avanti con gli anni, sofferente, ai tempi della lettera alle Brigate Rosse e della preghiera per Aldo Moro; le grandi mani protese, una benedicente, l’altra che ammonisce. Osserva monsignor Giorgio Basadonna nel libro dedicato alla statua che fu pubblicato da Lativa nel 1986: “Perché Bodini ha fatto quelle mani così vistose, così tese e aperte, quasi a sfidare l’equilibrio e le misure di un realismo troppo facile? Sono le mani che si aprono all’ospitalità, alla stretta amichevole e cordiale, le mani che hanno trasmesso innumerevoli volte la carità, l’attenzione, la condivisione appassionata di lui con tutto il bene e il dolore del mondo, con le persone, i malati, i bambini, i grandi e gli umili”.

Il manto sembra mosso dal vento. Dal cilindro scende un panneggio nelle cui pieghe compaiono l’omaggio di un mazzo di rose, un cranio a testimoniare le consuete meditazioni di Montini sulla morte, la scodella rovesciata che simboleggia la casa e, intorno, il gregge dei fedeli. Rievoca Bodini: “Ho iniziato il lavoro nel 1982 con due bozzetti preparatori, alcune piccole sculture e una decina di disegni, studi che mi sono serviti per cominciare e condurre avanti il monumento che misura in altezza sei metri, ha una base di 3,30 di diametro e pesa circa 40 quintali”.

“Questi pochi dati – prosegue l’artista di Gemonio – riassumono cinque anni di lavoro continuo, nei quali, giorno dopo giorno, la scultura ha preso forma, prima costruita direttamente in gesso, poi fusa a cera dalla Fonderia Battaglia e cesellata in ogni parte della superficie; lavoro, quest’ultimo, che mi ha impegnato per gli ultimi due anni. Il tentativo (riuscito?) è di immergersi nel fiume vivo della grande tradizione italiana della scultura pubblica, laica e religiosa insieme, fatta di pietre e bronzi scaldati dal sole e lavati dalla pioggia, che parlano al presente il linguaggio dell’eternità, lasciandosi alle spalle retorica e sperimentalismi”.

E in un’intervista rilasciata ad Andrea Giacometti per il Luce il 14 novembre 2004 aggiunge: “Ho realizzato diverse versioni del ritratto di Paolo VI lungo la mia carriera artistica. Certamente all’origine di questo mio interesse sta la devozione per questa figura della Chiesa; in particolare mi affascinano la sua spiritualità e la cultura di Montini e non posso dimenticare il grande amore che questo pontefice aveva per gli artisti, consapevole dell’importanza dell’arte sacra per la fede cristiana… il Sacro Monte è legato ai ricordi della mia infanzia e per me tornarci a realizzare la statua di Paolo VI è stato come tornare ai bei ricordi di quando ero ragazzo, ritrovare in qualche modo le mie lontane radici”.

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