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Attualità

FRANCESCO/2 SCELTE INELUDIBILI DI CIVILTÀ

CESARE CHIERICATI - 17/07/2015

Pope Francis in ParaguayAlla fine del grande e profetico viaggio di Papa Francesco in Ecuador, Bolivia e Paraguay si registrano a livello mediatico, in sede di commento, sostanzialmente due reazioni: la prima è quella di leggere nei messaggi di Bergoglio una sorta di tardivo ma confortante riconoscimento delle spinte rivoluzionarie che percorsero negli scorsi decenni il centro e il sud America; la seconda, di segno opposto, segnala, sia pure con toni cauti nella forma ma duri nella sostanza, il rischio di una nuova apertura verso idee e opzioni politiche considerate ormai obsolete e fuori dalla storia.

Si tratta di valutazioni a dir poco riduttive che non colgono la radicalità evangelica riproposta da Francesco. Con un linguaggio semplice che va direttamente al cuore delle persone ha messo in discussione le strutture stesse su cui si regge l’ordine economico mondiale muovendosi peraltro nel solco di una tradizione sociale cattolica che, a partire dall’Enciclica Rerum Novarum (15 maggio 1891) di Leone XIII, ha senza dubbio conosciuto nel corso della storia alti e bassi, luci e ombre ma che i Pontefici dell’ultimo mezzo secolo, ognuno con accenti propri, hanno puntualmente ribadito.

La dottrina sociale della Chiesa non ha mai accolto in toto il modello di sviluppo capitalistico così come ha sempre risolutamente rifiutato quello comunista fondato sull’ateismo di Stato e sulla conseguente negazione delle libertà individuali, prima fra tutte quella religiosa. È altresì vero che in numerosi passaggi della storia la Chiesa come istituzione si è appiattita sul modello di sviluppo capitalista. Bergoglio nelle sue analisi in terra americana non ha fatto sconti né alla Chiesa dei conquistadores – sempre con le dovute eccezioni – né a quella che in centro e sud America, anche in epoche recenti, ha fiancheggiato regimi (Cile, Argentina, Salvador, Nicaragua) incompatibili con il messaggio evangelico.

Il fondamentalismo economico e finanziario prevalente a partire dagli anni ’80 del secolo scorso ha aggravato e radicalizzato i già inaccettabili squilibri mettendo in un angolo le tendenze e le spinte all’eguaglianza che pure furono un tratto distintivo della rinascita dopo gli sconquassi planetari del secondo conflitto mondiale. Anche Giovanni Paolo II durante il suo storico viaggio a Cuba del novembre 1998 aveva denunciato, con il vigore che gli era proprio, le pesanti e inaccettabili asimmetrie di sviluppo dei continenti. Al punto che Fidel Castro gli fece discretamente notare come a denunciare certe cose fossero ormai rimasti nel mondo soltanto loro due, ovviamente da due punti di vista differenti. Perché se è vero che il comunismo è morto e sepolto è altrettanto vero che non sono estinti i quesiti sociali che ha posto e ai quali ha fornito una risposta totalitaria, liberticida e antidemocratica.

Dalle Americhe ai sostenitori del neoliberismo imperante il Papa ha anche detto forte e chiaro che la domanda di lavoro, di educazione, di equità, di servizi sociali dignitosi, di rispetto delle persone non è si estinta con la scomparsa dei regimi comunisti. Una domanda cui faticano a rispondere anche le socialdemocrazie gelidamente tecnocratiche del centro Europa. Piacciano o meno, i suoi discorsi latino – americani hanno riportato in primo piano il problema gravissimo della povertà, delle diseguaglianze, delle persecuzioni religiose che in Medio Oriente distruggono intere comunità cristiane. Un messaggio inequivocabile che, unito all’Enciclica “Laudato Si’ sulla cura della casa comune” pone i cattolici e il mondo intero di fronte a scelte di civiltà non più eludibili.

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