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Società

QUALCOSA DA IMPARARE

FELICE MAGNANI - 24/07/2015

uccellinoDopo aver vissuto chiuso in casa al buio per oltre sei ore, per difendermi dal caldo tropicale, esco in giardino alla ricerca di uno spazio d’ombra a cui affidare la mia voglia di risurrezione. Mi guardo attorno, mi fermo un po’ di qua e un po’ di là, cerco l’angolo che mi permetta di ricominciare a respirare. Escono anche mia moglie e mia figlia. Rossella guarda verso un punto in cui deve aver visto qualcosa di strano, qualcosa che la colpisce. Si avvicina. Vedo che raccoglie da terra un piccolo involucro piumato a forma di nido. Dentro, incollato, c’è un piccolo rannicchiato e appiattito come se non volesse staccarsi da quel caldo e appagante incavo protettivo.

Rossella si affida subito alla sua vocazione materna cercando un confronto diretto con la mamma, sul cosa fare. È chiaro fin da subito che vuole aiutare quel piccolo esserino indifeso che apre e chiude gli occhi come se si domandasse: “Ma sono ancora vivo?”. La prima intenzione è quella di rimetterlo sul ramo di un pino o della siepe, in modo tale che i genitori possano individuarlo e arrivare in suo aiuto il più presto possibile. Sono attimi di pura dolcezza materna che precedono una decisione in merito. Rossella chiede il mio punto di vista sulla situazione.

“Papà, secondo te cos’è meglio fare?”. Non penso neppure un attimo: “Mettiamo il nido su un rametto e aspettiamo. Credo che non supererà la prova. Difficilmente i genitori verranno a riprenderselo, di solito gli uccelli non entrano in competizione con il destino dei propri figli”. Mia figlia mi osserva, capisco che l’ho delusa, la mia svagata conclusione non le è andata a genio. Conoscendola, sono sicuro che farà di tutto per trovare una via di salvezza per Cipo.

Nel frattempo, con il contributo della mamma, trova un rametto sicuro nella siepe e infila il nido. Seguono attimi di grande attenzione. Ci scambiamo alcune impressioni, osserviamo e ascoltiamo, per capire che piega prenderà la situazione. Ci allontaniamo, lasciando il campo ai genitori di Cipo, sicuri che prima o poi si faranno vivi per sfamarlo.

Una cosa è certa, il piccolo pigola. Pigola sempre di più, lancia i suoi messaggi con tutto il vigore che ha in corpo, vuole accanto a sé il suo papà e la sua mamma, non gli bastano le attenzioni umane. Pensiamo si tratti di un piccolo di verdone, perché nei giorni precedenti ne abbiamo visto una coppia saltellare da un ramo all’altro del pino, proprio nel punto in cui è caduto Cipo. Non crediamo possa trattarsi di un passerotto, perché i passeri non nidificano sui pini o peggio ancora nelle siepi di cipresso.

Passa un po’ di tempo, ma i genitori di Cipo non si fanno vivi: paura? Strategia? Forse aspettano il buio per realizzare il loro progetto di salvezza. Sta di fatto che Cipo pigola sempre più forte. Incollato al minuscolo nido non fa una piega, affida alla casetta preparata con cura da mamma e papà la sua salvezza. Stare immobile in quel caldo lettuccio che lo ha visto nascere è per Cipo la soluzione migliore.

Arriva l’ora di cena. Io e Giuliana saliamo verso la cucina, mentre Rossella è inquieta, è sempre lì nei dintorni ad attendere che mamma e papà verdone si facciano vivi. La sensibilità di mia figlia in questi casi supera ogni barriera umana, diventa eroica ed è in queste circostanze che capisci di avere come figlia una ragazza che sa amare anche ciò che la natura ha di più invisibile, di meno appariscente, di più nascosto agli occhi del genere umano.

Nel dopo cena la storia continua. All’orizzonte si affacciano nuvole nere che salgono, come soffiate da qualcuno verso il cielo, aprendo la fantasia a ipotesi tra le più strane. Rossella è di nuovo accanto al nido dove Cipo continua a emettere un pigolio costante e sicuro, dimostrando di essere un alato che non molla, che vuole farcela a tutti i costi.

Cerca di mettere ordine nelle telefonate fatte alla Lipu, alla Polizia faunistica, allo zoo, al veterinario. Decide di seguire la via concordata con loro, mette il nido con il piccolo Cipo in una scatola di cartone e decide che passerà la notte al sicuro in casa, così nessuno potrà fargli del male, né il vento, né la pioggia, né il cane se dovesse rotolare per terra. Vuole Cipo accanto a sé, così potrà dormire senza preoccupazioni. Ce la farà? Rossella non ha dubbi, la sua fede è incrollabile.

Per me e Giuliana qualche dubbio sulla possibilità di sopravvivenza esiste, perché è caduto e, anche se il nido ha fatto da paracadute, il piccolo è ancora troppo piccolo per sopportare una caduta a peso morto. Rossella partecipa al pigolio di Cipo con una rara attenzione materna, è come se volesse passargli un po’ del suo spirito positivo, della sua gioia di vivere, della sua voglia di dimostrare che si può farcela sempre, anche quando sembra impossibile, anche quando il mondo intorno sembra voltarti le spalle e decretare la tua sconfitta. Inizia una lunga attesa.

Quando torniamo verso mezzanotte, Rossella ci attende e da dietro le persiane ci comunica che Cipo si è addormentato dopo aver pigolato a lungo. Fuori, un iroso temporale estivo riversa scrosci di pioggia e folate di vento. Se Cipo fosse rimasto fuori sarebbe stato spazzato via dalla bufera. Rossella ha visto giusto. È felice, sa di fare tutto quello che è umanamente fattibile per dare la possibilità di vivere a quell’esserino così sfortunato.

 Il suo entusiasmo nella vita ci consola. Siamo due genitori fortunati, abbiamo una figlia che sa amare sul serio, proprio nello spirito francescano, quello che sa andare oltre l’egoismo umano, che sa vedere dove altri non vedono.

È mattina. Rossella sale da noi commossa e ci racconta che il piccolo è sveglio e sta bene. L’ha guardata per un attimo e poi si è proteso con energia verso di lei con il becco aperto, in cerca di cibo. Rossella chiede di essere accompagnata dal veterinario di Buguggiate, perché il marito è impegnato; Cipo deve affrontare questo viaggio per continuare a vivere. Accompagno mia figlia con gioia, sapendo che è questo che si aspetta da chi le ha sempre raccontato dell’amore di Francesco per la natura e gli animali.

Il viaggio da Cittiglio a Buguggiate è carico di emozioni: dalla scatola sale il pigolio ininterrotto del piccolo Cipo, che continua a chiamare i suoi genitori con tutta la forza che ha in corpo. Il dolce sonno della notte lo ha ringalluzzito. Vuole dimostrare che è un uccellino unico, un degno rappresentante della stirpe alata. Io e Rossella ci guardiamo e sorridiamo, ci rendiamo conto anche in questa circostanza quanto sia bella e importante la vita, in particolare quando lotta e combatte per dimostrare la sua bellezza.

Capisco una volta di più che cosa siano l’istinto materno, la fede e la determinazione con cui le donne proteggono e promuovono il grande dono della vita. È bellissimo. Quello che per me sembrava l’imponderabile, per Rossella è la capacità umanissima di essere al servizio del creato.

 Si rafforza in me l’idea che papa Francesco sia davvero un vicario di Cristo con i fiocchi, che sappia guardare in faccia la realtà, porgendola con la spoglia e fragrante dolcezza della lauda francescana. La sua enciclica ne è una conferma. Conferma quanto bello e straordinario sia il pianeta in cui viviamo e quanto importante sia proteggerlo e difenderlo dalla viltà che lo distrugge.

Arriviamo a Buguggiate. Rossella ha tenuto in mano la scatola di cartone, sospesa, per evitare che Cipo potesse prendere qualche botta di troppo. Ha le braccia rigide, la tensione l’ha paralizzata. Cipo è contento, pigola con energia. È talmente deciso nella sua richiesta di attenzioni che ha persino cercato di evadere dal nido, spingendo per accoccolarsi nella parte più alta, quella che di solito prelude al volo. Il veterinario è una persona sorridente e molto accogliente. Prende il nido con il suo piccolo con molta cura e ringrazia Rossella, confermando che farà tutti i passi necessari.

Sono attimi di felicità e di commiato. La missione è compiuta, ma il distacco è malinconico. Il futuro di Cipo è nella mani degli esperti di Vanzago. Rossella se lo rimira come se si trattasse di un figlio, poi insieme torniamo alla macchina, sicuri di aver fatto la cosa giusta, di essere andati fino in fondo. È felice, appagata e soddisfatta.

In macchina parliamo del piccolo, del percorso che lo attende, ma siamo tranquilli, siamo convinti che ce la possa fare. Facciamo delle previsioni, accenniamo qualche ipotesi. Sono fiero di mia figlia, è così che l’avrei voluta, solidale e attenta, capace di mettersi in relazione positiva con tutte le forme di vita, senza mai cedere al pessimismo, ma convinta che tutto si possa sempre ricomporre. Una bella lezione, non c’è che dire. Ecco di che cosa sono capaci i giovani d’oggi, quei giovani che spesso trattiamo con distacco, lasciandoli in balia di una società che si preoccupa troppo poco della loro crescita umana, morale e civile. La forza di Cipo? Quella di avere avuto due genitori che gli hanno insegnato a guardare avanti con fiducia sempre, anche quando il mondo ti mette i bastoni tra le ruote e ti volta le spalle.

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