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Il Viaggio

LA FAVELA NEL CUORE

CARLO BOTTI - 02/10/2015

ImmagineQuando vai la mattina presto a scuolina per prendere dei documenti. Entri in una delle salette colorate e vieni accolto da un “Bom dia!”, gridato dai bimbi con tutto il fiato che hanno in corpo.

Tornare a casa nella notte del sabato sera, sfrecciando con un bus attraverso i quartieri di Flamengo, Botafogo, sbucare a tutta velocità sul lungo oceano di Copacabana prima e di Ipanema poi. Vedere la favela di Vidigal sullo sfondo illuminata come un presepe, guardare il tuo compagno di viaggio e urlargli nell’orecchio “Ma la vedi questa città? La vedi? È la città meravigliosa!”

Vedere il sorriso di una ragazza disabile mentre riceve una sedia a rotelle nuova che l’aiuterà a salire sui mezzi pubblici con più facilità. Un sorriso unico. Fotografare mentalmente quel momento, guardare ogni persona che ha contribuito a rendere quell’attimo possibile, in Brasile e in Italia, e pensare: “Siamo una squadra fortissima”.

Lottare con un bambino difficile per giorni. Un bimbo che ha bisogno di attenzioni, sempre in strada, che non accetta nessun tipo di regola, che mette a dura prova la tua pazienza. E poi un giorno vederlo tranquillo disegnare, fare quello che gli dici, aiutarti a mettere a posto, e a pulire, abbracciarlo e metterlo a testa in giù mentre ride.

Affacciarsi di notte alla finestra per fumare l’ultima sigaretta. Guardare le persone che passano. Vedere una donna che sale per la via, piano piano con un bebè in braccio. Giusto una volta arrivata sotto alla finestra, vedere un ragazzo fermarsi in moto e offrirle un passaggio verso casa, senza alcun tipo di malizia, ma solo per fare un semplice favore. Un favore tra persone che sentono di fare parte di in una comunità.

Lavorare ogni giorno, lottare con i ritardi, la pressappochezza dei lavori, lo stress del dovere rincorrere le persone, di fare sempre da mediatore. E poi, un giorno, stare seduti su uno sgabello del “Garagem” e vedere le persone che partecipano ai corsi, i bambini che disegnano in un angolo, il coordinatore del progetto lavorare al pc, e ricordarsi di quella prima volta che hai visto il Garagem e di aver pensato che questo momento ti sembrava lontanissimo da raggiungere.

Scambiarsi occhiate di intesa con colleghi, persone che all’inizio erano diffidenti e ora sono diventati amici, compagni.

Svegliarsi la mattina con la voce roca di Lia che mi chiama, urlando, dalla strada sotto la mia finestra.

Fare da capo villaggio per i volontari e vederli realizzati e consapevoli che anche loro stanno contribuendo a un progetto più grande.

Ricevere ogni settimana foto e video di nipotini e famiglia, che non puoi viverti ma che ti fanno sentire a casa, sempre e comunque.

Lavorare sempre in ciabatte, canottiera e occhiali da sole.

Tornare a casa alle prime luci dell’alba e trovare sempre negozi aperti per mangiare, musica. Sentire un cuore palpitante che non dorme mai.

Diventare amico del pizzaiolo e della donna delle torte vicino a casa.
Entrare nei negozi e non aver bisogno di dire nulla perché già sanno che cosa ordinerai.

Tornare a casa in mototaxi con il mototaxista che ti riconosce perché lavori ai progetti e ti chiede se può venire a seguire i corsi di lingua al Garagem perché sta per prendere un taxi vero e desidera essere pronto al meglio per i turisti.

Portare i bimbi della scuolina in gita al cinema e passare tutto il tempo al bagno a portarli avanti e indietro perché o hanno bevuto troppa CocaCola o perché semplicemente amano lavarsi e asciugarsi le mani con l’asciugatore elettrico.

Finire di lavorare, camminare dieci minuti e andare a farsi il bagno nell’oceano, e fare il morto nell’acqua guardando il cielo.

Spaventare i turisti con storie di topi che saltano fuori dalla fogna e azzannano le caviglie.

Mettersi a scrivere i tuoi “momenti di trascurabile felicità” che hai vissuto durante l’anno e rendersi conto che sono stati troppi e che in un paio di pagine nemmeno ci staranno tutti.

Dare ancora uno sguardo alla favela attraverso il finestrino del taxi e essere percorso dai brividi perché sai che stai salutando una mamma, una sorella, una ragazza di quelle difficili ma che sono quelle che danno più soddisfazioni. Stai salutando un cuore pulsante. Sai salutando la Rocinha.
E, per la prima volta in tutte le tue esperienze, sapere con certezza che tornerai perché c’è ancora tanto da fare.

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