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Attualità

RAGIONE O VILTÀ DI UN RISCATTO

MANIGLIO BOTTI - 23/10/2015

greta vanessaC’è qualcuno che magari avrebbe voluto vederle, Greta e Vanessa, in qualche vicolo di Aleppo mentre un miliziano dell’ISIS gli tagliava la gola. Per poi piangere lacrime di coccodrillo in nome di un inflessibile principio secondo cui non si scambiano “doni” né si fanno accordi con rapitori e criminali. Dunque, il caso di Greta Ramelli e di Vanessa Marzullo (Greta, per altro, è di Gavirate), le due giovani cooperanti sequestrate in Siria un anno e mezzo fa e rilasciate lo scorso mese di gennaio, è tornato a far parlare di sé. Al centro della vicenda, di nuovo, il presunto pagamento di un riscatto, undici milioni di euro pare. E le polemiche. Con il pagamento del riscatto – una “procedura” adottata da sempre dallo Stato italiano: sostanziose somme di denaro contro la vita di ostaggi – si disse all’epoca della liberazione, nonostante le smentite ufficiali, e si dice ancora oggi, si è andati a foraggiare il terrorismo, dietro cui stavano e stanno i sequestratori; per due vite salvate chissà quante armi acquistate e quanti morti innocenti.

La polemica, tuttavia, non è stata rinfocolata dalla scoperta di un nuovo “giro” di armi pagato con i soldi italiani, o da dichiarazioni di rappresentanti del nostro governo, ma da un così definito “tribunale islamico”, ovvero composto da possibili sostenitori dei tagliatori di teste, che avrebbe individuato un’ “appropriazione indebita” nel comportamento e nelle ammissioni di uno dei rapitori delle due ragazze, il quale avrebbe trattenuto per sé almeno la metà della somma del pagamento del riscatto, circa cinque milioni di euro, appunto. Così in Italia da parte di alcuni politici oppositori del governo e da loro probabili sostenitori che frequentano il web s’è ricominciato a gridare allo scandalo della liberazione di Greta e di Vanessa dietro il pagamento di soldi.

Rispondendo a un lettore del Corriere della Sera, l’ex ambasciatore Sergio Romano – uomo di grande esperienza e saggezza – spiegava che spesso da parte di uno Stato, per liberare suoi cittadini fatti prigionieri in altri Stati devastati da guerre e tensioni sociali, vi sono “contropartite inconfessabili”, in seguito giustificate con mezze verità o mezze bugie.

Ancora, lo Stato italiano, come si diceva, in frangenti simili e comunque fossero orientati politicamente i suoi governanti, ha sempre privilegiato (giustamente, sottolineiamo noi) la salvezza delle persone e delle vite umane, anziché il loro abbandono a uno spesso tragico destino.

Se si vuole, si potrebbe citare la sola eccezione del caso Moro, che però riguardava una questione di “guerra” interna, e che in ogni caso si pone nel dibattito con diverse particolarità. Così come è del tutto imparagonabile con la vicenda di Greta e di Vanessa quella dei due marò italiani (a dire il vero uno solo, oggi) “tenuti prigionieri in India” con l’accusa di avere ucciso due pescatori avendoli scambiati per pirati. Se mai si potrebbe parlare qui di un uso inutile del denaro pubblico e di una ben diversa valutazione degli interessi dello Stato. E anche il comportamento in storie analoghe di altri governi (quello degli USA, per esempio) non è stato sempre improntato al rigore e all’inflessibilità, pronunciamenti ufficiali a parte.

Ma le riflessioni sulla vicenda della liberazione di Greta e di Vanessa, e sulla loro spedizione, dovrebbero essere altre. E non sono ancora state fatte, forse proprio perché “inconfessabili”. Perché le due ragazze, la cui attività era monitorata e tenuta sotto controllo telefonico dai nostri servizi di sicurezza ben prima che partissero per la Siria e venissero sequestrate, non furono a suo tempo fermate? Quali sono state, in realtà, le dinamiche della prigionia e della (abbastanza rapida, per fortuna) liberazione? E quali le contropartite? Non è che si chieda qui, seduta stante, una presa di posizione convincente, ma un piccolo chiarimento…

Per non parlare di altre considerazioni che avrebbero richiesto un maggiore impegno dal cosiddetto corpo sociale e politico: finora, infatti, non s’è potuto affermare che la storia di Greta e di Vanessa, improvvisatesi cooperanti, sia stata esemplare e proficua per coloro, tanti italiani nostri concittadini, che in forma pubblica (pochi) e privata (molti di più) ogni giorno si trovano all’esterno a cooperare davvero e a portare il proprio aiuto a uomini e a popoli in difficoltà.

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