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Cultura

IL “MIO” CALABRESI

DINO AZZALIN - 04/12/2015

Calabresi al Santuccio con Azzalin e Giovannelli di Varesenews

Calabresi al Santuccio con Azzalin e Giovannelli di Varesenews

La mia “amicizia” con Mario Calabresi, neo direttore di “Repubblica”, nasce un giorno di marzo 2013, a Roma, in compagnia di amici: Claudio Del Frate del “Corriere della Sera” e Michele Brambilla, vicedirettore de “La Stampa” (oggi direttore della Gazzetta di Parma), lì per il primo ”Angelus” di Papa Francesco. Ero reduce da un momento entusiasmante di confronto con studenti dell’Università Tor Vergata che avevano preparato alcune tesi sui miei libri di viaggio.

Dopo aver faticato a trovare un ristorante ci consolammo davanti a un pranzo davvero speciale parlando della bella ventata di ottimismo portata dal nuovo Pontefice in Vaticano; e poi inevitabilmente di giornalismo, di giornalisti, di scrittura. Michele si soffermò sull’ultimo libro di Mario Calabresi, credo fosse “A occhi aperti”, che raccoglieva le testimonianze di grandi fotografi. Calabresi era allora il suo direttore a “La Stampa”. Oltre a indicarlo come un bravissimo collega, Michele ne parlava come di una persona dotata di rara umanità. Tanta stima e affetto insieme, li ritengo un valore insolito e tanto più apprezzabile. Ricordo che di lui avevo letto due libri, “Spingendo più in là la notte” e “Cosa tiene accese le stelle” il primo dedicato alle vittime del terrorismo, il secondo alla valenza che Mario dava ai sogni realizzati da giovani anche nelle situazioni più difficili. Mi trovavo perfettamente in linea con Claudio e Michele e, come quando cerchi la stazione in una radio a transistor e finalmente la trovi chiara e pulita, ascoltavo volentieri la trasmissione. Cioè i loro giudizi che condividevo.

Ma la mia storia con Calabresi nasce molti, ma molti anni prima, e cioè quando, ed è inevitabile parlarne, a Milano, alle superiori, militavo nelle file del “Movimento Studentesco”. Il 13 dicembre 1969, all’indomani di Piazza Fontana, partecipai a una manifestazione imponente contro la prima di una serie numerosa di “stragi di Stato”; e qualche anno dopo a quella contro ogni tipo di violenza, sempre con il Movimento Studentesco, indetta per la morte di Luigi Calabresi, il commissario di polizia -padre di Mario- assassinato. Poi il tempo mi fece ritrovare, io figlio di immigrati veneti, in uno dei personaggi descritti nel libri di Mario Calabresi. Di qui la mia stima e la considerazione assolute.

Il fil rouge è sempre quello dei libri fino a che all’inizio del 2015 in una stanza d’ospedale, con Marco Giovannelli, direttore di Varesenews, ci trovammo a parlare del suo ultimo libro dal titolo “Non temete la nostra vita sarà meravigliosa” che in quel periodo stavamo leggendo entrambi. E siccome il testo narra tra l’altro la vicenda di medici del CUAMM, zii di Mario, che negli anni Settanta aprirono in Uganda l’Ospedale pediatrico di Matany gestito dai Medici Con l’Africa, associazione di cui faccio parte con il gruppo di Varese e di cui sono il presidente, con Marco argomentai sulla possibilità di presentarlo in città.

Qualche mese più avanti alla Fondazione Cariplo a Milano con don Dante direttore del CUAMM di Padova, entra Mario Calabresi, che mi stringe la mano. Gli vengo presentato come “Quello che ti tartassa di mail per farti venire a presentare il libro a Varese” e lui si mette a ridere. Don Dante gli dice: “Guarda che Dino è un molosso, appena si attacca alla preda non la molla finché non l’ha spolpata”. “Ah – mi dice Mario – eccomi pronto”, dandomi una pacca sulla spalla. “Stai tranquillo che verrò presto anche a Varese, devi aver solo pazienza”. Da qui è iniziato l’inseguimento. Come aveva profetizzato il direttore del CUAMM, non è stato né facile né semplice, finché una mattina di settembre, suona il mio cellulare: “Sono Mario Calabresi, sarò a Varese il 28 ottobre, mettiti d’accordo con Marco per tutte le questioni organizzative, sei contento? Va bene? Ciao a presto”

“Va bene? Benissimo”.

E un mese fa al teatro Santuccio, stracolmo di una partecipazione straordinaria e commovente dopo una frugale cena in piedi mangiando kebab e bevendo Coca Cola, Mario Calabresi mi confermò il calibro delle persone che valgono molto, e che, come scrisse Leopardi, hanno maniere semplici (purtroppo le maniere semplici sono prese per indizio di poco valore). Mario, così mi ha detto di chiamarlo, era uno di quelli, e aveva ragione Michele: la sua umanità superava ogni valore.

Buona fortuna, direttore!

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