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Società

TEORIA DEL POTERE

FELICE MAGNANI - 12/02/2016

lottadiclasseSi parla molto spesso dei subalterni, di chi deve eseguire, delle persone che sono nell’occhio del mirino sempre, perché di loro si occupano tutti: imprenditori, giornali, televisioni, opinionisti. Di loro si parla perché soffrono d’inquietudine perenne, un’inquietudine che ha radici lontane, quando le regole del lavoro esistevano solo nell’idea del capo, di colui che gestiva la vita e la produzione nell’interesse personale.

Erano i tempi in cui nella vita di relazione la divisione della società in classi era netta, chiara, non lasciava spazi a illusorie trasformazioni, anche se in qualche caso il miracolo accadeva e faceva parlare. Erano i tempi delle lotte frontali, degli autunni sindacali, delle ideologie antagoniste, dei tentativi rivoluzionari, delle teste calde, i tempi di un salario minimo e di una condizione del lavoro indegna della dignità personale. Erano i tempi in cui il padrone era il padrone, salvo qualche eccezione, quando l’operaio era costretto a subire orari e condizioni umilianti, senza poter far valere il suo essere persona, il suo desiderio di vivere una vita famigliare dignitosa. Non si poteva sgarrare, pena il licenziamento, l’allontanamento senza giusta causa.

Sono stati anni difficili, anni in cui la società italiana ha attraversato momenti complicati, legati a violenze di ogni tipo. Poi la classe lavoratrice ha trovato la forza di imporre una propria coscienza del lavoro, una propria identità, ha dimostrato che l’azienda non era un luogo d’imposizione e di costrizione fisica e mentale, ma spazio di risorse e di talenti, di collaborazioni e di servizi, dove ciascuno esprimeva una parte fondamentale di sé. Il lavoro si è dato una costituzione propria, all’interno della quale il lavoratore trovava solidarietà e conforto, protezione e tranquillità. Per la prima volta il lavoratore diventava persona da difendere e da promuovere, anima fondamentale di un grande processo di rinnovamento del mondo del lavoro e della società italiana.

Molte cose erano destinate a cambiare, anche per l’assunzione di atteggiamenti più adeguati da parte della società civile e dello stato, sempre più tesi a comprendere l’armonizzazione del lavoro, il suo ruolo fondamentale all’interno della società democratica, sempre più volta all’emancipazione sociale dei suoi cittadini.

Si è parlato ancora molto della classe operaia, dei suoi problemi, della sua ansia di affermazione materiale, culturale, sociale, umana all’interno dello spazio aziendale e nella sua rete relazionale con la società civile e lo stato. In molti casi la lotta è diventata più democratica, meno antagonista, più politicizzata, ma ha dimostrato che c’era ancora molto da fare, molto da chiarire, molto da risolvere.

A dire la verità sono state poche le aziende che hanno messo in atto una vera emancipazione umana del lavoratore, valorizzandolo non solo sotto il profilo della produttività come numero, ma sul piano della sua maturità come persona, del suo essere padre e madre di famiglia, soggetto di legge costituzionale, compagno di processi evolutivi di una società sempre più tesa a valorizzare l’anima della sua gente.

Per molti anni ancora la lotta si è protratta con sfumature diverse, con diverse strategie, con alti e bassi, ma sempre allineata a una difficoltà di relazione tra persone coinvolte nello sviluppo di una ricchezza individuale e collettiva.

La lotta di classe, quella combattuta senza esclusione di colpi, si è affinata, si è realizzata nelle piazze delle grandi città, dove in qualche caso una legittima rivendicazione di diritti si è trasformata in tentativi rivoluzionari messi in campo da frange estremiste piovute all’interno di una rivendicazione ponderata e ben orientata.

Il potere ha preso di nuovo il sopravvento, riaccendendo umori sfumati, rivalse attenuate, aspirazioni condivisibili. Il potere di sempre, quello legato a una sorta di negazione della condizione della persona umana, come sempre privata di una dignità che in molti casi va ben oltre strategie, stili e ideologie. Il potere di chi si avvale di una supremazia e di un primato per imporre la propria volontà, il proprio senso della vita, che in molti casi non corrisponde a quella invocata dalle persone che sono costrette a piegare la testa e a ubbidire. Il potere di chi non vuole rendersi conto che il progresso è il risultato di un’ armonia alla quale concorrono tutti, nessuno escluso, secondo talenti e risorse individuali correlate al desiderio di migliorare, di vivere un’ esistenza adeguata.

Ma non solo il potere imprenditoriale, anche quello di varie idee rivoluzionarie messe in campo per distruggere e annientare il nemico. Il potere della violenza e quello altrettanto terribile della schiavitù, il potere del ricatto e della superiorità, quello che definisce gli scopi e i fini di una lotta finalizzata al male.

In molti casi si è lottato più per la conquista del potere, piuttosto di mettere insieme le forze per raggiungere obiettivi comuni. Governi, sindacati, fasce reazionarie, classi e potentati di vario ordine e natura hanno trasformato la democrazia in oligarchia, in una prospettiva di primato personale.

In questi ultimi anni abbiamo assistito al passaggio dalla democrazia alla oligarchia finanziaria e bancaria, che ha capovolto la condizione umana, relegandola a un ruolo di subalternità innaturale. Abbiamo assistito alla caduta della tensione etica che aveva contraddistinto la nascita dello stato nazionale, la forza determinante della giustizia e della legalità.

Ci eravamo abituati a vivere il dettato costituzionale pur nelle difficoltà di un paese che usciva duramente colpito dal secondo conflitto mondiale, un vero e proprio dramma nazionale e internazionale. Abbiamo fatto in tempo ad assaporare la forza di una rinascita che aveva riposto nel lavoro, nel rispetto e nella legalità la sua voglia di trasformare un paese in ginocchio in una realtà a misura d’uomo. Abbiamo così ripreso a sognare, a vivere guardando al futuro, cercando di realizzare al meglio gl’ideali ai quali i genitori, la scuola e la società civile ci avevano educato. Ci sentivamo amati e protetti.

Oggi la situazione è di nuovo cambiata: l’educazione è decaduta, il lavoro è finito spesso nella spazzatura, la disonestà ha spaziato in lungo e in largo, riproponendo i contorni di un potere demolitorio, distruttivo e privo di qualsiasi attenzione alla persona e ai suoi problemi. Siamo di nuovo con il mento rivolto all’insù, nella speranza che tutte le cose belle scritte in tempi non sospetti si realizzino di nuovo per ridare fiato alla volontà delle brave persone di ritrovare una gioia e una speranza.

Del potere non si può fare a meno, ma va usato e finalizzato in modo giusto e legale, nell’interesse di chi guarda al domani con la speranza di realizzare un sogno.

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