Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Società

L’EDUCAZIONE DI UNA VOLTA

FELICE MAGNANI - 26/02/2016

compitiCi sono momenti in cui vale la pena staccare e osservare la realtà con uno sguardo diverso: più razionale, più disincantato. Vale davvero la pena lasciare che l’interiorità si riaccenda e che rimetta in moto il meccanismo della ricerca, quello che di solito caratterizza le stagioni più tenere della vita, quelle in cui si vive sull’onda di emozioni, di scoperte quotidiane, di sentimenti che si accendono e si spengono, di quel senso del magico e del misterioso che induce a sognare e poi ancora a sognare.

La società dei consumi, quella dei grandi stravolgimenti urbani, sociali, etici e morali, si è impossessata della nostra unicità, ci tratta come dei subalterni a cui non resta di fare altro che applaudire o disperarsi, ci impedisce di porgere l’orecchio alla voce di quel fanciullino di pascoliana memoria a cui abbiamo tappato la bocca e tarpato le ali. Così facendo abbiamo perso la possibilità di rinnovarci, di vedere il mondo sotto una luce più umana, più carica di speranza nel futuro, ci siamo preclusi la strada di una giovinezza dello spirito, della capacità di rilanciare proprio mentre siamo in difficoltà. In molti casi viviamo come se avessimo subito una sorta di mummificazione, come succedeva nell’antico Egitto.

Viviamo una vita ripetitiva, determinata quasi sempre da input che arrivano dall’esterno e che condannano la natura umana a essere schiava e vittima, invece di aiutarla a essere protagonista, capace quindi di una vita di relazione forte e gioiosa, ricca di utili cambiamenti. Oggi qualcosa di più, rispetto all’ammortamento consumistico corrente, si fa, ma lo si fa in modo poco pensato, per rispondere a una moda, a un impulso, alla monotonia di una vita che perde sistematicamente di valore. Nella maggior parte dei casi l’uomo vive subendo una realtà che non ha eletto, che non ha voluto, che rifiuta, ma che in nome di una sempre più incomprensibile democrazia è costretto a subire.

È un po’ come la storia delle tasse, una spada di Damocle che ti porti dietro dalla nascita alla morte, senza la speranza di uscirne. Le tasse sono una vera e propria condanna, in particolare per quella parte di popolazione che è costretta a pagarle fino in fondo senza sgarrare, mentre per quell’altra parte, quella dei paradisi fiscali, il discorso è molto diverso, perché ha fatto dell’evasione un titolo di merito, il marchio di una furbizia che ha origini lontane e che non abbandona le sue vittime.

Ma che cosa aveva l’educazione di una volta? Forse aveva un volto umano. Di solito nasceva in una famiglia, nell’aia di una corte, attorno a una tavolata natalizia o pasquale. Anche la scuola era diversa. Non avevi mai tempo da perdere. Ogni attimo era scandito da una traduzione di latino, da un tema, da un compito di matematica, da una ricerca storica, geografica o scientifica. Passavi le tue giornate attorno a un tavolo. Frugavi nella piccola biblioteca famigliare o in quella della tua città o del tuo paese alla ricerca di un sapere che accendeva di curiosità il ritmo incalzante delle stagioni. C’era anche il tempo per il gioco, ma si trattava di un tempo studiato, collocato all’interno di una programmazione.

La vita era piena, impegnata, sempre pronta a ringalluzzire la tua curiosità. Dovevi imparare a distribuire il tempo, a renderlo efficace, a non disperdere quel patrimonio di ricchezza interiore che madre natura ti aveva riservato. Ci si incontrava spesso a casa dell’uno o a casa dell’altro per fare i compiti, per ripassare una lezione o anche solo per festeggiare una compleanno o per giocare. C’era sempre qualcosa da fare, da imparare, da costruire, da ascoltare. C’era sempre qualcuno che ti indirizzava, che ti stimolava a vivere con degli obiettivi, perché il tempo era prezioso. E non era assolutamente necessario avere una casa grande o un oratorio bellissimo e con tanti spazi, bastava avere qualcuno in gamba che ti passava una carica di entusiasmo e di passione, che condivideva con te una partita o un discorso interessante, che ti faceva capire che bisognava fare sempre uno sforzo in più per essere davvero contenti.

Certo nessuna società è mai stata perfetta, ognuna aveva le sue pecche, le sue frustrazioni, i suoi rigurgiti di follia, le sue indifferenze e le sue storture, ma l’autorità la trovavi dappertutto, sempre pronta a sfoderare la sua energia, la sua capacità di far rientrare e convergere eventuali fughe in avanti. La scuola stessa era molto attenta alla distribuzione del tempo e del lavoro, era consapevole che più largo era lo spazio del dolce far niente e più si sarebbero innescati gl’intrighi dell’anarchia. Era noto a tutti che i giovani lasciati allo sbando non avrebbero fatto nulla di buono anzi, avrebbero occupato il tempo a combinare guai. L’impegno era attivo su tutti i fronti, sia su quello dello studio sia su quello del lavoro.

C’erano parecchi ragazzi che finiti i compiti aiutavano i genitori oppure si ritagliavano dei piccoli lavoretti. I più fortunati avevano qualcuno che li seguiva nei compiti a casa. C’era chi andava a lezioni private, chi era aiutato in istituzioni pubbliche, chi frequentava la casa dello studente, chi andava all’oratorio, chi andava a casa del maestro o del professore per approfondire.

La famiglia era molto attenta. Anche quelle meno abbienti, quelle meno preparate culturalmente, lo erano nella pratica, quando si trattava di far seguire i loro figli, di non lasciarli soli. L’imperativo era quello di evitare il far niente, di riuscire a dare un senso alla vita quotidiana dei ragazzi, di farli crescere con lo sguardo rivolto alla concretezza, al fare, all’impegno, al presente e al futuro. C’era nella famiglia la consapevolezza che bisognava far fatica e che nulla arrivava per caso, che bisognava metterci tanta buona volontà.

C’era alla base di tutto una convergenza diffusa, un passaparola che diventava autorevole e tutti ne percepivano l’importanza e l’utilità. C’era anche un grande desiderio di far bene, di non fare brutta figura, una sorta di orgoglio naturale che stimolava le persone a dimostrare la capacità di stare al passo con i tempi, di saper affrontare con dignità e coraggio le prove della vita. Nelle famiglie c’era una diffusa attenzione nei confronti delle dinamiche che le caratterizzavano e in queste dinamiche i figli avevano un ruolo fondamentale. Nella maggior parte dei casi ereditavano una sorta di pudicizia e di riservatezza naturali che li mettevano al riparo da situazioni spiacevoli.

Oggi è la trasgressione a diventare motivo di orgoglio e nessuno è più in grado di mettere in campo un ordine educativo collettivo, perché c’è un menefreghismo generale, una protezione generalizzata che impedisce un serio e approfondito esame di coscienza. Il grosso guaio è che cresce una gioventù convinta che le regole siano inutili e che gli adulti abbiano sempre torto.

Viviamo in una società che non sa più distinguere il bene dal male e che non è più capace di indicare con certezza le vie della democrazia educativa. Tutto è opinabile. Tutto è relativo. Tutto può essere convertito, modificato, cambiato. Anche la stessa integrazione non è integrazione, ma posizionamento di diversità che continuano a mantenere una propria forza identitaria. Il mondo non sarà mai abbastanza italiano da condividerne leggi e istituzioni, ma vivrà in appendice una sua esistenza fortemente caratterizzata da varie forme di antagonismo.

È difficile poter fare leva sulle giovani generazioni, che continuano a vivere una sorta di sudditanza. Varie forme di condizionamenti storici, sociali, religiosi impediscono in molti casi una convivenza realmente positiva, capace di creare nuove forme di civiltà. Uno dei più grandi problemi della società di oggi è riconoscersi in un ordine di regole comuni, sentirsi parte di una grande famiglia costituzionale, capace di gestirsi con autorevolezza. L’italianità è un fenomeno decrescente e nel frattempo crescono a dismisura aree frazionate che vivono di vita propria, in molti casi diversa da quella indicata dalla ufficialità istituzionale.

Il fenomeno del ripiegamento sociale contrasta con quelle che sono le linee dello stato nazionale, sempre più incapace di riconoscersi in un tessuto culturale e sociale univoco. Sembra per certi aspetti di ritornare ai vecchi stati nazionali, quando ciascuno viveva a ridosso dell’altro vantando una propria indipendenza, una propria estraneità al processo educativo comune. I rischi in questo senso sono grossi, perché si potrebbe creare una sorta di sopravvivenza individuale, legata a varie forme di struttura istituzionale, non necessariamente vincolata a forme univoche.

Mancano a questo punto linee coordinative comuni e la vita quotidiana è sempre più spesso determinata da situazioni contingenti che mutano rapidamente, stravolgendo apparati, regole, vincoli e posizionamenti tradizionali. In questa situazione risulta sempre più difficile individuare quale sia l’indirizzo comunitario nazionale, messo a dura prova da un’Europa che apparentemente si dichiara solidale, ma che nella realtà dei fatti si posiziona su fronti di utilitarismo e di egoismo che mettono a repentaglio sia l’organizzazione nazionale dei singoli stati sia quella comunitaria europea, dove ognuno segue vie proprie, come ai vecchi tempi.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login