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Editoriale

REGÌMI

MANIGLIO BOTTI - 11/03/2016

La sede della Lega, a Varese

La sede della Lega, a Varese

Regìme è parola abbastanza neutra. E a volte anche connotata in modo severo e positivo. Si pensi, così solo per fare un esempio, alla definizione “regìme dietetico”…

Ad attribuirle un significato negativo, quasi sempre riferito a un sistema di governo autoritario più che autorevole, è il tempo. Non è un caso che il “regìme fascista” sia durato poco più di un ventennio: dal 28 ottobre 1922, giorno della marcia su Roma, al 25 luglio 1943, quando il Gran consiglio defenestrò Mussolini; ed escludiamo i quasi due anni – i più duri e tenebrosi – della Repubblica Sociale, dalla metà del mese di settembre del 1943 alla fine di aprile del 1945. Cadde definitivamente soltanto a conclusione di una guerra disastrosa e perduta.

Di una cosa, dunque, si può essere certi: che un regìme di governo e di potere, in un intero paese ma anche in una città, è determinato dalla sua durata nel tempo. E a causa di ciò esso non produce elementi di cambiamento, ma si caratterizza come sistema autoreferenziale, conservatore e infine – molto spesso – negativamente ripiegato su di sé. Da un regìme visto come sistema politico “perenne” non esce mai niente di nuovo. Di positivamente nuovo, diciamo.

Fatichiamo davvero a credere che il movimento leghista – ma l’esempio potrebbe valere per la Democrazia Cristiana degli anni cinquanta e per i governi comunisti o presunti tali di due o tre regioni italiane del centro-nord – possa razionalmente sovvertire da noi questo andamento di cose.

La Lega vinse le elezioni amministrative di Palazzo Estense nel giorno di santa Lucia del 1992, il 13 dicembre, e circa un mese dopo insediò un proprio sindaco: Raimondo Fassa. Si era, a quell’epoca, in piena tangentopoli varesina. Ricordiamo allora la diffusione in città di volantini da parte di leghisti – che procurarono più scandalo che ilarità – i quali annunciavano una formazione di calcio composta – tra titolari e panchinari – da una quindicina di personaggi ex DC, ex PSI (e da noi anche ex PCI) che o si trovavano in galera o che avevano avuto guai con la giustizia. La squadra del Carroccio capitanata da Umberto Bossi, invece, si presentava a chi ci voleva credere intonsa da un qualsivoglia problema giudiziario, destinata a fare risorgere le magnifiche sorti e progressive di una città altrimenti destinata a un’irrimediabile catastrofe.

La rievocazione storica non è buttata giù a casaccio. Si tratta solo di rinverdire un po’ la memoria, che proprio a causa del tempo tende un po’ a obnubilarsi, e d’essere il più possibile obiettivi. Se è vero che dopo ventitré anni (ma se si va a vedere l’ingresso trionfale di Umberto Bossi nel parlamento dell’odiata “Roma ladrona” – 1987 – gli anni sono quasi trenta) il governo della Lega a Varese (con buona pace degli amici berlusconiani forzitalioti) è stato sempre confermato dal consenso popolare – ma era così anche per la Democrazia Cristiana e in un certo qual modo anche per il fascismo – non si può tuttavia non riconoscere gli effetti negativi del regìme consolidatosi nel tempo.

La prosecuzione ininterrotta di un governo e, appunto, il tempo che scorre, producono clientele, amicizie, posti di sottobosco. Si sedimenta la formazione di una nuova classe politica e sociale. A Roma, forse mutuando il termine da amicizie e da situazioni parentali, la chiamano il generone. Da noi non è solo un fenomeno sociale. Sono tanti voti che finiscono nelle urne. Il generone, dove le persone nascono, crescono e… muoiono (ma l’augurio, al di là della politica, è di una lunga vita per tutti) porta con sé un’unica volontà: il mantenimento di sé stesso.

Il giornalista Eugenio Torelli Viollier, fondatore del Corriere della Sera – ricordava qualche giorno fa Sergio Romano – nel 1876 al governo della sinistra di Depretis avrebbe probabilmente preferito una conferma della destra storica di Minghetti. Ma riconobbe senza esitazione che il “regìme dell’alternanza” è il sale della democrazia. Perché – e anche oggi è così – promesse (eventuali) di rinnovamento o sono bugie o la concreta testimonianza, esaurito ragionevolmente il tempo necessario, di un fallimento.

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