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Editoriale

L’ERRORE

GIUSEPPE ADAMOLI - 01/04/2016

Nostalgia della DC?

Nostalgia della DC?

L’unità dei cattolici in politica è finita da molto tempo e anche quando c’era stata (salvando l’Italia dal comunismo, portandola e mantenendola nel mondo occidentale democratico) non era mai divenuta un’unità totale. Eppure sembra che Roberto Formigoni non se ne sia accorto. Alcune puntualizzazioni le ritengo opportune.

Non è mai stata totale, l’unità dei cattolici, perché davvero sono esistiti i catto-comunisti, vale a dire praticanti che in buona fede avevano sposato le tesi marxiane e avevano creduto nell’uguaglianza comunista. Molto lontano da loro (e da chi votava a destra), li rispettavo e volentieri dialogavo. Più recentemente, invece, l’accusa di catto-comunismo è stata una caricatura operata da una destra demagogica e ignorante che non aveva argomenti seri per attaccare chi aveva compiuto (legittimamente come loro) una scelta di campo diversa od opposta.

Riprendo questo argomento a causa della recenti dichiarazioni di Formigoni: “Oggi i cattolici in politica contano molto poco. Se poi ci si disperde, contiamo molto meno e il destino è l’insignificanza”. Parole pronunciate in relazione al fatto che i ciellini di Milano si disperderanno nelle tre maggiori liste amministrative: Giuseppe Sala (centrosinistra), Stefano Parisi (centrodestra), Corrado Passera, indipendente.

In questa dichiarazione, Formigoni aggiunge errore ad errore facendo un’equivalenza impossibile fra universo cattolico e Cielle che ne ha sempre rappresentato una piccola porzione, sia pure combattiva. C’è un diverso angolo visuale che andrebbe invece considerato. Questo spacchettamento dei voti ciellini è una fortuna per i ciellini stessi che si liberano da eventuali vincoli politici del vertice. Il che, forse, li farà percepire dalla gran parte dei cittadini per quello che vorrebbero essere: un movimento religioso particolarmente sensibile ai problemi sociali. Era il fondatore, Don Giussani, che sottolineava il valore della “comunità” ma anche quello, imprescindibile, della responsabilità personale.

Di fronte ai problemi drammatici dell’immigrazione, delle nuove e vecchie povertà, della dignità del lavoro, sono fondamentali le parole dei Pontefici e delle Encicliche, dalla Rerum Novarum del 1891 (Papa Leone XIII) alla Laudato si’ di Papa Francesco. Ma da questi insegnamenti non discende meccanicamente un modo unico di tradurle in pratica. Conta l’esperienza di vita e l’interpretazione della realtà, in una parola la legittima cultura politica di ciascuno. Altrimenti saremmo di fronte ad un integralismo che richiederebbe davvero un partito unico dei cattolici superato dalla storia e dall’evoluzione del mondo.

Stiamo attenti a dividere i cattolici in buoni e cattivi, fra chi accoglie bene gli immigrati e chi vuole una rigorosa politica dei flussi. Fra chi ha sostenuto il Jobs Act e chi reputava inviolabile l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Fra chi accetta il capitalismo (non la feroce finanza senza etica) e chi lo ritiene ancora un male da sconfiggere. Fra chi accetta le unioni civili e chi le respinge come se lo Stato non avesse il dovere di disciplinarle giuridicamente.

Tutto ciò fa parte del confronto politico e non è, in un senso o nell’altro, tradimento del sistema dei valori. Se poi anche per le elezioni amministrative si riparla di unità dei cattolici, benché nella dimensione ridotta di Cielle, siamo al rovesciamento di un modo serio di concepire l’impegno dei cattolici in politica.

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