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Attualità

CONTAINER DELLA SOLIDARIETÀ

DINO AZZALIN - 29/04/2016

sidatIn questi giorni è festa al porto di Banjul capitale del Gambia per l’arrivo da Varese di un container lungo quarantacinque piedi pieno di tutto, persino di una vecchia automobile donata dai varesini a un gruppo di profughi che sono arrivati qui coi barconi e si sono dati da fare cercando di essere utili a se stessi e ai loro famigliari rimasti nella loro terra di origine. Una delle tante storie di solidarietà, ma davvero speciale se si pensa che è nata nel cuore di una città solo apparentemente fredda come Varese.

Un grazie e una riconoscenza vanno a Silvia e Stefano con Pietro, e Rosamarina e Mario con Giovanni, che passando davanti all’Hotel Plaza di Varese dove erano “parcheggiati” i profughi si sono davvero “innamorati” dei visi che hanno dato parole a queste storie di uomini nati per caso in una altra latitudine della Terra, certo più povera e derelitta.

E che colpa ne hanno loro? Chi scrive può affermarlo con certezza perché dopo trent’anni di viaggi in Africa, ha imparato che un pezzo di stoffa o una cosa per noi apparentemente banale per loro diventa importante e utile. Non si è trattato mai di togliere ma di aggiungere gioia alla vita, perché il dono è il ponte che congiunga gli uomini al cielo, e cercando di capire quel di cui avevano bisogno s’è scoperto che era quello che cercano i nostri figli, una famiglia dove vivere, comprensione, solidarietà, amore. Così, tavoli, biciclette, frigoriferi, televisioni, mobili, vestiti, cibo, e tante altre cose, sono diventate una opportunità d’ incontro per tante famiglie varesine e un vantaggio per una intera comunità lontana.

E niente sarebbe stato possibile se non alla caparbia ragione di Sidat un piccolo giovane cuoco africano dal grande cuore che si è attivato a creare quel ponte ideale di quella solidarietà di cui parlavo sopra che esiste per chi riceve e chi dona, che ha saputo riunire, immigrati provenienti dal Gambia, Mali, Ciad, Senegal, Etiopia, e dei “bianchi” di buona volontà, diventando un punto di riferimento in questo nucleo solidale unito dalla fierezza di persone capaci di esempio e solidarietà.

Un ringraziamento particolare va a mio fratello Alfonso e sua moglie Nicoletta che con la loro generosità hanno permesso a Sidat di accumulare tutto il materiale presso i loro magazzini e questo ha reso possibile un sogno e noi siamo felici di averne preso parte, e, sembra assurdo, ma chi ha meno dona di più, e come direbbe Madre Teresa a volte è più sacra una mano che aiuta di una bocca che prega. Gli egoismi beceri impoveriscono la vita e lo spirito, creano solo liti e conflitti, e ci vorranno almeno sei generazioni perché questo superfluo si esaurisca perché solo guardando il container stipato all’inverosimile ti accorgi di quanta “roba” inutile (a noi) stiviamo in cantine e soffitte di cui alla fine ne dimentichiamo la sorte, e qualcuno butterà via quando anche noi “partiremo”.

Sì, siamo circondati ti troppa opulenza che basterebbe destinarlo ai poveri per “liberarci” di tanta zavorra, e quanti ne beneficerebbero e quanta felicità avremmo in più, scritta da qualche parte nel cuore degli uomini.

Nel nostro territorio ci sono migliaia di abitazioni sfitte, invendute, disabitate, case-vacanze che fanno la muffa, aree dismesse che potrebbero essere riattivate con lavori di utilità sociale e che da sole basterebbero a ospitare intere colonie di profughi, perché nessuno fugge dal proprio paese dove ci sono, pace, sviluppo, prosperità e abbondanza. E come ha detto Saviano recentemente, “non credo nella giustizia sociale né nella politica credo solo alla bontà”, e alla mia (e nostra) età non ci resta che essere buoni. E con loro questo è più facile certo, perché hanno una grande forza creativa, noi siamo vecchi, emaniamo la stanchezza del tempo e delle cose, ma basta una energia contagiosa come la loro e ritroviamo dentro una forza che neanche noi credevamo avere, e diventiamo amici per sempre, loro fedeli e contenti anche quelli che partono e si ricordano di noi per la grande attenzione e l’aiuto logistico che gli abbiamo dato.

In questi momenti non senti più i profughi, gli immigrati, come una cosa distante o diversa né come un dibattito politico, o un fenomeno internazionale di cui avere paura, ma incontri gli uomini, le persone, i drammi, le storie, incontri le abitudini, le loro provenienze, la cultura, i costumi, la loro bellezza e consci del dramma delle loro esistenze, entri in relazione come qualsiasi abitante della tua città. Perché volenti o nolenti, costituiscono una realtà in mezzo a noi, e noi dobbiamo pensare e formulare un progetto che sia di addizione e non di sottrazione. Del resto le comunità povere che sono confluite per secoli nel Nuovo Mondo hanno costituito con il “meticciato” il paese più forte del Pianeta: gli Stati Uniti d’America.

La lezione di Lesbo e di Lampedusa con papa Francesco ci insegnano che l’immediata relazione è con la persona che fugge da guerre, fame, lutti e distruzioni, e non il profugo da bloccare coi muri i fili spinati e il razzismo più a nord dell’Europa o soffocarne il diritto alla libertà coi gas lacrimogeni.

 Nessun muro ha tenuto mai per sempre, la libertà prevale su ogni filo spinato, semmai da perseguire sono trafficanti di uomini, veri e propri criminali che hanno fatto del Mediterraneo un cimitero di povera gente che credeva nel sogno dell’Europa. Certo dovremo pensare a un modo nuovo per l’integrazione, fare leggi come ha proposto la Germania, non del tutto “buoniste” ma realistiche e concrete come il “patto di cittadinanza” dove accettare la differenza non è rinunciare alla propria identità ma insegnare il rispetto delle leggi e regole del paese in cui l’extracomunitario viene ospitato.

E in Italia si dovrebbe fare altrettanto dove i principi cardini saranno quelli di un patto dei Comuni che ospitano i profughi che devono insegnar loro i principi della nostra Costituzione e valorizzala. Il primo movens per tutto questo è quello di imparare bene la lingua della nazione dove si intende restare e questo lo disse già il mio maestro Andrea Zanzotto, imparare a parlare e a comunicare è il primo irrinunciabile step per l’integrazione, senza questo non è assolutamente impensabile.

La lingua è il fondamento centrale di una coesistenza attiva e pacifica. E sulle religioni, cosa peraltro rispettabile per ciascun popolo, ho sempre avuto il sospetto che siano più “divisive” che luogo d’unione, il Dio è sempre lo stesso eppure… quindi anche chi professa l’Islam deve fare un po’ di ordine tra religione e le frange religiose estremiste dove si predica l’odio e il terrorismo, perché Dio (se c’è: ultimamente ho qualche dubbio anch’io) non è sicuramente quello che ordina di uccidere donne e bambini facendosi saltare per aria in nome della salvezza eterna, ma neanche quello che sgancia tonnellate di bombe che non sono sempre così intelligenti in ogni parte del Medio Oriente.

Insegnare il rispetto e il valore della vita non è una cosa banale come si può pensare, chi è povero non ha alcuna stima per la vita perché il valore si fonda su chi ha e non su chi si è. La vita umana è sacra in ogni parte della Terra e non è con le armi che si difende, indipendentemente dal colore della pelle o da quel che ha, e nelle moschee dunque, se si devono fare in Italia, si deve anche dare la possibilità a chiunque, così come nelle chiese cattoliche o nelle sinagoghe abbia voglia di entrare, di farlo, comprese le donne e non portare solo la voce dello scontro, riconoscere cioè diritti di culto, ma prima e soprattutto i doveri di ciascun immigrato nei confronti della comunità che li ospita. Solo con il dialogo che sia preghiera o altro, deve proporre una riflessione profonda e una legislazione più seria davanti a una realtà che la storia sta a guardare.

Un giorno vorrei essere ricordato da mio figlio come un padre che tende la mano e non stende un filo spinato. E a quei cristiani che vanno in chiesa, e amano più gli animali che gli esseri umani, dico che devono riflettere su quel che dicono e fanno, perché il “Regno dei Cieli” è per tutti. E la festa finale fatta con una “pizzata” a Masnago, con loro, i profughi, è stata, con le loro parole e quelle di ringraziamento di Sidat, la più bella e commovente della mia… della nostra vita.

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