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Il racconto

SCRIVERE

GIOVANNA DE LUCA - 02/06/2016

scuolaBisognerà che mi decida.

Devo scrivere un nuovo racconto: il direttore del giornale online che mi fa la cortesia di pubblicarne lo aspetta, e ne sono felice. Ma il punto è che ho troppe storie in testa. Stasera però dovrò sceglierne una.

Ho in sottofondo la musica senza la quale non so cominciare: Radio Marconi. A quest’ora (quasi mezzanotte) trasmettono musiche bellissime, romantiche nel senso nobile della parola: pezzi importanti e celeberrimi, brani d’opera, una meraviglia. Faccio una passeggiatina su FB, giusto per abitudine, ma non mi va di perdere tempo: voglio scrivere, ora. Potrei farlo in prima persona, per una volta: ma cosa direbbero i protagonisti dei miei possibili racconti, che vedo tutti qui, intorno al tavolo, fermi, in attesa? Il tempo della vostra storia si è fermato al momento in cui l’avete vissuta. Non potete mutare più, giovani o vecchi che siate, sarete per sempre quelli che siete stati nella narrazione: non invecchierete se giovani, non morirete se vecchi. Però, ora, ognuno di voi vuole il suo attimo di celebrità.

Quale per primo? Forse tu, bambina con le trecce tirate, che hai otto anni e hai vissuto un pomeriggio indimenticabile. Coraggio, racconta. Va bene, lo farò io per te.

“Sono le quattro di un pomeriggio qualsiasi di una qualsiasi primavera, intorno alla metà del secolo scorso. Sei a scuola, e le lezioni stanno per finire. La campanella suona all’improvviso, riempie il grande corridoio del vecchio edificio, fino a poco fa silenzioso e solenne. Le piastrelle, le vetrate dagli infissi scrostati, le giacchette appese ai logori attaccapanni, in fila: tutto sembra essere così da sempre e per sempre.

La bidella, seduta in fondo dietro una cattedra sbiadita, chiude il giornale e si alza proprio nell’attimo in cui le porte si aprono come sfondate e un nugolo di grembiuli bianchi invade vociando il corridoio. Siete tutte bambine, vero? Non esistono classi miste, non ancora. Meglio così, tu odi i bambini di quarta e di quinta, che vi prendono in giro.

Le maestre sorridono, tirano un sospiro di sollievo, salutano, accarezzano. Fuori, sul marciapiedi del vialone, ci sono le mamme, raramente i padri, talvolta le “tate”. Una popolazione vestita semplicemente, che porta in sé ancora l’impronta della guerra. Tu scherzi con la compagna del cuore, e di banco, con cui dividi anche le merende. Ridacchiate, mentre poco più in là un gruppetto di bambine parlotta, vi guarda, e voi ricambiate frecciatine…si sa, a scuola si creano piccole ostilità, si formano e si disfano alleanze…Tu e la compagna vi salutate, tutte saltellano, liete che la giornata sia finita. E vanno via, un po’ alla volta.

Ora ti guardi intorno, e cerchi papà. Sai che oggi, come spesso accade, verrà lui a prenderti. Infatti papà è già in pensione. Papà ha cinquantasette anni, ed è in pensione. Glielo hanno mandato, come hanno fatto con tanti altri ufficiali, finita la guerra. Gli hanno scritto su un foglio: “Le auguriamo un buon inserimento nella vita civile”. E papà si era già inserito: nove anni fa ha sposato una donna di diciotto anni più giovane: adesso ci sei tu,seduta sui gradini della scuola, che lo aspetti.

Dovrebbe venire in bicicletta, ti hanno detto stamattina che oggi, visto il bel tempo, sarebbe andato prima a fare un giro fuori città. Gli piace molto: spesso, con la mamma più malsicura che vi segue, tu sul seggiolino quando eri piccola, sulla canna con mille espedienti di sicurezza da qualche anno, percorrete i sentieri lungo i canali fiancheggiati dai pioppi che si riflettono nell’acqua chiara, con le foglie che lumeggiano nel sole padano. Per te, è la felicità.

Ma perché papà non arriva? Accanto, la bidella chiacchiera con una donna, nel dialetto scabro e aperto nelle vocali, con una cadenza particolare, che si parla nella tua città. Non ti guardano, spettegolano. Passano i minuti. Perché papà non arriva? Piano piano intorno si fa il vuoto, sono quasi le cinque. Andresti a casa da sola, ma se poi viene qualcuno e non ti trova?

Intanto osservi la strada. Hai otto anni ma “senti” la voce delle cose che ti circondano. Ti piace stare in disparte. D’estate è meraviglioso arrampicarsi sui rami agevoli del fico che è in giardino, e stare lì, con un libro, a leggere e guardare. Ora vedi palazzi antichi, in cattive condizioni, e ancora qualche maceria ammontichiata e non rimossa, pavimentazioni sconnesse: non ti puoi ricordare la guerra, ma capisci bene che intorno ci sono i segni di qualcosa di molto, molto brutto.

E papà non arriva.

Esce la bidella, ti vede e si meraviglia che tu sia ancora lì. Ti fa delle domande, approfitta del fatto che sei sola. Vuole sapere di casa tua, di questo e di quello. Tu rispondi a monosillabi: la detesti, non solo perché capisci che è mossa dalle chiacchiere (il matrimonio dei tuoi genitori, nella città dove tutti si conoscono, ha fatto scalpore: l’ufficiale assai noto e la bella giovane donna…), ma anche perché un giorno, avendo bisogno di due gessetti colorati che a casa ti mancavano, li hai presi dalla lavagna e lei ti ha visto proprio nell’atto di metterli in tasca e subito, l’infame, lo ha detto alla maestra che lo ha detto alla mamma…

Ma ecco dal fondo dello stradone arrivare la Maria. La vedi prima della bidella, le corri incontro. Cammina tutta agitata, quasi corre, è rossa e sudata. La bidella le chiede: ”Ma cos’è successo?”. E lei con voce affannata confusamente dice che non lo sa con precisione, è solo che hanno portato a casa il padrone, due uomini, lo hanno trovato caduto con la bicicletta in una forra, andava in fretta per una scorciatoia per venire a prendere la bambina, e lei, la Maria, stava tornando a casa e sul cancello c’era il dottore e le hanno detto di venire lei a scuola…

“Santo cielo”,dice la bidella, “cosa gira in bicicletta fuori mano, alla sua età?”. Tu cogli al volo l’allusione, ma hai ben altro in mente ora. “Maria, dài andiamo,dài”, e la afferri per la mano, la tiri. Con le sue grosse gambe, fatica a starti dietro.

La Maria è buona, un po’ stravagante ma buona, affezionata. I tuoi l’hanno praticamente acquisita con la casa, dove era vissuta tutta la vita con il vecchio proprietario. I figli di lui, vendendo dopo la sua morte, hanno proposto ai tuoi di tenerla, perché non aveva dove andare. La mamma è stata contenta. Tu le fai i dispetti, ma ora implori: “ Più in fretta, più in fretta, Maria!”

“Gesù, fa’ che il papà non sia morto. Ti prego ti prego Gesù, io non posso vivere senza il mio papà. Ti prego. Ti prometto che se non si è fatto niente…non darò più pizzicotti a quell’antipatica della Giannina, lo prometto, lo giuro, lo giuro. E non sarò più golosa, non dirò mai più una bugia per tutta la vita, non mi darò mai più il rossetto della mamma di nascosto, e…”.

Siete al cancello. I gradini in quattro salti, la porta sbattuta, voli per le scale così lunghe oggi…apri la porta della camera: eccolo lì il tuo papà, seduto a letto con i cuscini dietro la schiena, eccolo lì, tutto pesto e ammaccato! La vicina di casa sorride e dice: “Tutto bene per fortuna, solo qualche botta, ma niente di rotto!” E la mamma, a capo del letto, gli tiene una mano sulla spalla, con l’altra gli aggiusta il cuscino.

Lui ti guarda con i suoi occhi azzurri, i suoi bellissimi occhi azzurri, sorride come per chiederti scusa: scusa se non sono venuto in tempo a scuola, scusa se sono caduto, scusa se…e ti apre le braccia.

E tu, bambina, in una frazione di secondo – frazione di secondo – capisci tutto: che il ramo del fico su cui ami arrampicarti può anche essere scivoloso e farti cadere – in un attimo; che una serena giornata di scuola può diventare un orribile giorno – in un attimo, così come la ruota di una bicicletta può slittare e precipitare in un fosso – in un attimo.

E sai – in una frazione di secondo sai – che niente è certo, niente è per sempre.

Così, quando ti butti tra le sue braccia, non potresti dire se è per cercare protezione o per dargli conforto”.

Bene. Qui finisce la tua storia, bambina. Alzo gli occhi per guardarti, ma non ci sei più: intorno al tavolo rimangono, rigidi come statue di gesso, impermaliti, i personaggi scartati. Tu sei passata nelle pagine del mio scritto, sei lì, soddisfatta, dentro le parole. Si è compiuto il tuo destino. E io, raccontandoti, ho seguito il mio.

Sono le due di notte. Sono stanca. Vado a dormire. Domani spedirò al direttore.

 Vicenda autobiografica

 

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