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Attualità

ADDIO A UN GRANDE BOXEUR

CESARE CHIERICATI - 30/09/2016

caprettiÈ stato uno dei grandi protagonisti dei magnifici anni Sessanta quando la Varese capitale dell’industria e del lavoro sapeva essere protagonista in ogni sport, anche nella “noble art”.

Gianni Capretti, classe 1946 è nell’albo d’oro degli atleti olimpici, in azzurro il suo nome compare per ben due volte: a Città del Messico nel 1968 e nell’edizione insanguinata dal sequestro degli israeliani di Monaco ’72. Da professionista ha sfiorato il titolo europeo dei superleggeri, la categoria di Duilio Loi il suo campione di riferimento. Si è congedato dalla vita lunedi 26, a settant’anni, nella sua Azzate dove si era trasformato in vigile urbano apprezzato da tutti.

Nel varesotto approda da Rovato ( Brescia) a sei anni, nel 1953, perché il fratello ha trovato un lavoro a Galliate lombardo e tutta la famiglia decide di seguirlo. Lo affascinano le corse in bicicletta, del resto Varese è una provincia ciclistica. Si muove su una “Ganna” ereditata da un amico, pedala bene in salita e un bel giorno, appena quattordicenne, si presenta alla mitica “Binda”. Gli dicono che servirebbe una bici nuova ma in casa Capretti i soldi necessari all’acquisto non ci sono. Ci pensa però la sorte a fargli cambiare sport: una brutta caduta in discesa mette fuori gioco in maniera definitiva la sua“Ganna”.

In realtà il ciclismo non era l’unica passione sportiva di Gianni. Una sera di dicembre del 1961, complice un amico di Azzate, scatta la scintilla definitiva. A stregarlo sono la piccola fredda, palestra incastrata sotto la tribuna centrale del Franco Ossola e l’incontro con il maestro Piero Bignamini che per un intero anno lo prepara all’esordio nella categoria “novizi”che avviene con la maglietta della Spumador, sul ring di Cremona. Finisce in parità il primo combattimento ma è l’inizio di un cammino folgorante: 16 incontri nella categoria, sedici vittorie, 14 prima del limite e la conquista del titolo lombardo. La storia in positivo si ripete da dilettante e nel 1967, dopo un torneo preolimpionico a Rimini da incorniciare, viene selezionato per i Giochi di Città del Messico del ’68. Gli sbarra la strada alle soglie della semifinale un polacco di nome Coley. È un dilettante di lungo corso, in pratica un professionista mascherato come accadeva sotto i regimi comunisti. La stessa cosa accadrà l’anno dopo agli europei di Bucarest ( medaglia di bronzo) e a quelli successivi di Madrid dove incrocia nuovamente un polacco che lo mette fuori gioco con una testata non vista da un arbitro compiacente.

Il 1971 è un anno d’oro: si aggiudica i mondiali militari a Castelfranco Veneto dopo aver vinto sei incontri in nove giorni. In finale liquida un tailandese di spessore. È un auspicio felicissimo per le Olimpiadi di Monaco, quelle insanguinate dal sequestro degli israeliani da parte dei terroristi palestinesi: “Noi eravamo alloggiati nella stessa palazzina degli israeliani – ricordava Capretti – dal balcone sovrastante l’appartamento in cui era avvenuto il sequestro, ci rendemmo conto che le forze speciali tedesche stavano per intervenire, seguimmo tutto il loro blitz”.

Sul ring è di nuovo un picchiatore dell’Est, un ungherese scorbutico a mandare in fumo i suoi sogni.

Gianni è ancor oggi convinto di averlo superato ma l’arbitro fu di diverso avviso.

Musica differente ai Giochi del Mediterraneo in Turchia dove conquista l’oro a Ismir superando per KO un tenace ragazzo di casa.

Dopo dieci anni da dilettante Capretti tira le somme: 275 combattimenti, 259 vinti, 5 pari e undici sconfitte, più della metà delle vittorie ottenute prima del limite. Ha quasi 28 annni e decide per il salto di categoria. Gli spiano la strada Franco Volontario, indimenticato dirigente del pugilato varesino e il manager Umberto Branchini. Anche nella categoria superiore conferma le sue straordinarie doti di boxeur. Nel ’75 ha l’occasione di battersi per il titolo europeo dei superleggeri, lo spareggio per incontrare il campione in carica è con il francese Lafarge che liquida in cinque round ma per tre riprese ha combattuto con una mano lussata. Gesso per 40 giorni e titolo in fumo.

Il titolo se lo contendono uno svizzero e un francese, entrambi erano già stati battuti dal campione varesino. L’occasione europea non si ripresenterà più. Tuttavia tre anni più tardi gli si offre la possibilità di chiudere in bellezza la sua brillante carriera. Titolo italiano a Udine contro Freschi, un pugile di casa. Purtroppo anche l’arbitro è un friulano e non sanziona le testate del suo conterraneo, al contrario richiama Capretti. Gianni non ci sta, volta le spalle all’avversario e torna nel suo angolo. Fine del match e anche fine della carriera perché avverte che il suo tempo sul quadrato è scaduto. Il bilancio da professionista è eccellente: su 38 incontri disputati, 37 vinti. Né da dilettante né da professionista ha conosciuto l’onta del tappeto. Fu contato dall’arbitro solo una volta, si era semplicemente appoggiato alle corde.

Sulla decisione di smettere pesarono gli anni, le ingiustizie subite, l’età non più giovanissima ma soprattutto la morte sul ring di un amico carissimo, Angelo Jacopucci, già campione europeo dei medi. Messo al tappeto sul ring di Bellaria dall’inglese Minter dopo una serie impressionante di colpi senza che nessuno intervenisse a fermare il combattimento, Jacopucci si spense in ospedale qualche giorno in seguito ai colpi subiti.

 (dal volume Varese una provincia con la cultura dello sport, Nicolini editore – Insubria University press, 2007)

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