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Souvenir

FORME MIMETIZZATE

ANNALISA MOTTA - 21/04/2017

palestraLa tuta, alla media statale Silvio Pellico di via Sacco, era vocabolo sconosciuto e alieno. A dire il vero, era l’oggetto in sé a non esistere ancora, almeno nell’accezione di oggi: c’era la tuta da meccanico, quella da astronauta (ebbene sì, almeno una cagnetta l’avevano già lanciata nello spazio), quella da palombaro e forse quella da sci. Ragion per cui l’ora di ginnastica non contemplava un capo di vestiario così avveniristico; come del resto neppure una palestra. Ci si accontentava di uno stanzone lungo e stretto, dal soffitto basso, dove si poteva scalare il quadro svedese, arrampicare sulle spalliere, saltare sul cavallo, correre lungo il perimetro, lanciarsi nel salto in alto con il sistema della sforbiciata, azzardare un po’ di ritmica con palle, clavette e cerchi: ma non giocare a pallavolo, e tantomeno a pallacanestro, per mancanza di spazio e di altezza.

La “prof” insegnava a bordo campo, mai mischiandosi con le alunne (del resto con la gonna stretta e i tacchi a spillo sarebbe stato arduo) ma mostrandoci parcamente i gesti da eseguire e facendoci imparare a memoria regole dei giochi a squadre e misure dei vari campi.

Però su una cosa non transigeva (e quante note sul diario!). Non si dovevano scordare le scarpe da ginnastica, bianche o al massimo bianche e blu, e la divisa doveva essere pulita e perfetta.

Certo, la Divisa: maglietta, ovvero T-shirt, bianca; calzettoni bianchi; pantaloncini bluette. E che pantaloncini!

Avete presente il costume di Mago Zurlì? (Grande Cino, da poco scomparso, quanto ci hai fatto sognare da bambini…). Bene, un vestito da principe più che da mago, con sbuffi alle maniche e ai fianchi, dove, sopra la calzamaglia, fiorivano dei buffi shorts di raso lucente. I nostri non erano di raso, e nemmeno lucenti: erano solo buffi, di una tela rada e grossolana, arricciati in vita e al ginocchio. Una sorta di gonnella/pantalone che aveva, credo, un’unica funzione: mimetizzare le forme in boccio di noi preadolescenti, agli occhi dei maschietti che sbirciavano furtivi dalle finestre di fronte.

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