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Cultura

STORIA DEL PANETÜN

BARBARA MAJORINO - 22/12/2017

panettoneÈ tempo di festività e di tradizioni. L’inverno ci porta a stare di più al calduccio delle nostre confortevoli case e a consumare i riti delle feste natalizie con gastronomie e leccornie d’ogni tipo insieme agli amici e ai nostri cari. I cibi sono l’espressione della tradizione dei popoli e perfino dei riti religiosi. Nel caso della pasticceria, è il caso di dire che a volte imita la natura, molto più di quanto la natura non imiti la pasticceria.

 Come il tradizionale panettone che, nato a Milano, si è poi diffuso in tutta Italia e per il mondo intero. A che cosa ci fa pensare innanzitutto il panettone? A una montagna o a un altopiano. O forse anche allo stesso Duomo, ma in forma più ruspante e stilizzata. E dato che le cattedrali gotiche imitavano il verticalismo delle montagne coi loro picchi e con le loro guglie, ecco allora che per la proprietà transitiva, se la cattedrale imita la montagna e il panettone imita la cattedrale, allora il panettone è diretto figlio della montagna.

Ne parlò il simpatico affabulatore Philippe Daverio in una vecchia trasmissione in onda su Rai 3 delle serie “Notturno con panettone” che fece per l’appunto un viaggio nei dipinti del paesaggio montano, abbinato al più famoso dolce natalizio insieme agli ospiti, in un divertissement intitolato “Il panettone e la montagna disincantata”. Ricordo pure la sua variante veneta del pandoro con l’immancabile dolce spolverata di zucchero a velo, simile al cocuzzolo innevato di un monte.

Panettone o Pandoro? Questo è il dilemma. Personalmente opto per il primo, perché più ricco a vedersi e a gustarsi, con canditi e uvetta. Più basso e non lievitato il pandolce genovese con aggiunta di pinoli oltre ai canditi, ma non sono mai riuscita ad apprezzarlo, forse per la durezza dell’impasto. Non se ne abbiano a male i genovesi, ma lo trovo un po’ “gnucco”.

Sulle origini del panettone si raccontano numerose leggende. Pare che nasca da un errore di levitazione. La leggenda del panettone da me scelta, ci porta alla corte di Ludovico il Moro, Signore di Milano…

“È un giorno di festa, stanno per giungere numerosi invitati e tutto e pronto per ricevere gli ospiti. Nelle cucine c’è un grande andirivieni di cuochi, sguatteri, valletti… Il pranzo ha inizio. Sulle tavole sontuosamente imbandite vengono servite le prime portate: carni arrostite, cacciagione, pollame, pasticci carichi di spezie… il tutto tra canti, risa, musiche, esibizioni di giocolieri. Nelle cucine, intanto, il capocuoco sta vivendo un piccolo dramma: il dolce, preparato con infinita cura, e riuscito male e se ne sta afflosciato su un grosso vassoio d argento. Nessuno sa come rimediare al «misfatto»! Solo uno sguattero, di nome Toni, non si perde d’animo: rimbocca le maniche e impasta in fretta e furia in un grosso recipiente un pane a base di farina, lievito, uova, burro, zucchero, frutta candita e spezie. Quando già sta per infornare il pane, scopre un barattolo pieno di uvetta e aggiunge anche quella all’impasto. Mentre nelle sale vengono serviti gli ultimi piatti, il pane nel forno lievita lievita, prende un bel colore dorato e diffonde intorno un delizioso profumo. Viene l’ora di servire il dolce. Lo sguattero, nascosto dietro un tendaggio, spia con ansia commensali. Dietro di lui, ancora più preoccupato, sta il capocuoco: se il dolce non avrà successo le conseguenze saranno disastrose! Ma il successo è unanime: i commensali chiedono a gran voce al padrone di casa di conoscere l’autore di quello straordinario grosso pane che mai nessuno prima ha gustato. Lo sguattero, intimidito e confuso, viene sospinto nella sala e accolto con battimani. Qual è il tuo nome? – gli chiede Ludovico il Moro. Mi chiamo Toni – risponde il garzone arrossendo. Nella confusione generale si sente distintamente una voce: “Chiameremo questo dolce il «pan del Toni»”! E da qui, per contrazione… il Panettone.”

Pazienza se una fetta di panettone contiene, come dicono, 360 calorie. Dopo le feste, ci metteremo tutti a dieta. Ma soprattutto, è inevitabile gustarlo accompagnato a dell’ottimo moscato, o a dello spumante pregiato (dolce o secco) o a champagne di ottima annata, per un bel brindisi.

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