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Divagando

DEMAGOGIA, ADIEU

AMBROGIO VAGHI - 01/03/2018

votoQuesta divagazione esce a campagna elettorale conclusa. Una campagna elettorale iniziata il giorno dopo la conclusione del referendum costituzionale (5 dicembre 2016) che, bocciato, ha rappresentato la sconfitta di Matteo Renzi. Ne era stato il proponente ed avendo personalizzato lo scontro ritenne corretto farsi da parte dimettendosi da Presidente del Consiglio dei Ministri.

Utile più che mai, alla luce di quel che vedremo nei prossimi giorni, ricordare qualche presupposto di quella consultazione: una legge elettorale maggioritaria con un premio al vincitore che gli consentisse di governare con una sola Camera, quella dei Deputati, incaricata di legiferare e soprattutto di approvare o bocciare i Governi. In sostanza il giorno dopo il voto il Paese avrebbe conosciuto il vincitore e da chi sarebbe stato governato. Invece saremo alle solite con una legge elettorale pasticciata in parte proporzionale e in parte maggioritaria confezionata sulle linee indicate dalla Corte Costituzionale chiamata a giudicare la legge precedente.

Una pessima campagna elettorale senza la presentazione di compiuti programmi di governo, avulsa dai principali problemi del Paese, tutta giocata in scontri su effimeri fatti di cronaca bruciati in un giorno. Con tabelloni elettorali ormai privi di obsoleti manifesti tutto è stato giocato in televisione e sul web. Con linguaggi di incredibile volgarità e soprattutto cercando più che il confronto la delegittimazione dell’avversario. Attraverso – diciamocele in italiano- vere e proprie calunnie, balle, con il poveretto privo del tempo di replicare, colpito da altre nuove calunnie. A raffica, altro che “un venticello, una auretta assai leggera che lentamente si introduce …” come recita l’opera rossiniana. Qui ogni giorno abbiamo udito un colpo di cannone che cercava di colpire il poveretto calunniato vilipeso, calpestato.

In tivù niente confronti diretti faccia a faccia ma i soliti pastoni dei TG, tanti bla bla bla con promesse a gogò e fandonie fornite senza riscontri.

Quando tutto appariva moscio e scontato ha fatto irruzione fragorosamente il pericolo della rinascita fascista. Rappresentato da Casa Pound e dagli stessi seguaci della Meloni presente nelle liste di Berlusconi. Scontri nelle piazze con movimenti antagonisti pronti a violenze col preteso dell’antifascismo. Eccessi bloccati con fermezza dal Ministro degli Interni Minniti per garantire a tutti la espressione dei diritti civili.

Si sa che in campagna elettorale le promesse abbondano, ma in questa ultima sono state toccate vette mai raggiunte in passato da parte soprattutto dei Cinquestelle, del redivivo Berlusconi e del demagogo nuovo leghista. Proposte che hanno fatto volare miliardi come coriandoli contando su elettori ritenuti assolutamente impreparati a ragionare sui numeri. Una vera offesa verso il nostro popolo considerato in buona parte composto da perfetti imbecilli.

Un grande valzer è stato il ritmo, la musica che ha accompagnato molti protagonisti. Giravolte a non finire.

Grillini in preda di una crisi nera a seguito dello scandalo dei rimborsi, che sono passati dalla richiesta di abbandonare l’euro e l’Europa a un dietrofront clamoroso. Con un pretendente alla Presidenza del Consiglio, Luigi di Maio, che annunciava l‘immediata cancellazione di 400 leggi, non avendone mai proposta neppure una nei cinque anni che ha passato alla Camera dei deputati. Poi la corsa a promettere grosse riduzioni delle tasse e assegni mensili di 800 o 1000 euro a tutti i non occupati. Infine la disponibilità a discutere con altri partiti, presentando già un suo governo. E Berlusconi che ha avuto ancora inchiostro nella penna per firmare promesse di bengodi davanti al “notaio” Bruno Vespa senza dirci perché quei patti negli anni del suo Governo non li ha mantenuti. Anzi, se non fosse stato fermato in tempo dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano avrebbe portato il Paese alla catastrofe. Ha avuto il coraggio di ritornare sventolando un libretto con 100 pagine di nuovi impegni con una flat tax, tassa unica per tutti, da considerarsi una bufala praticamente irrealizzabile.

Solo il Partito Democratico è stato parco di promesse. Anch’esso ha parlato di riduzioni delle tasse, mirate soprattutto verso le famiglie che hanno più bisogno di sostegni e verso le aziende che producono e danno lavoro. Ha messo in elenco quanto è stato realizzato dai governi Pd presieduti da Letta, Renzi e Gentiloni anche in fatto dei diritti civili. Risultati importanti ma ancora insufficienti e da migliorare. Ora la ripresa economica è avviata, confermata da dati significativi e riconosciuta da tutti. È augurabile che il voto al Pd dia a Gentiloni la possibilità di portarla avanti senza scossoni con una saggia e fattibile politica di riforme.

 Cosa accadrà dopo il 4 marzo ? L’incertezza è massima ed evito di presentare la mia inutile previsione sul nuovo governo. Quasi certamente né il centrodestra, né il centrosinistra, né i Cinquestelle avranno i voti per governare da soli. Quelle alleanze non fatte prima su precisi programmi, si dovranno tentare dopo il voto. Cioè un ritorno al passato con trattative, compromessi, reciproche concessioni. Che solitamente costano assai. Quindi addio ad equilibri di bilancio e a riduzioni del debito pubblico.

Per di più nelle coalizioni non regna certo la pace. Berlusconi vuole essere la prima donna ma il Salvini dallo sguardo truce lo vorrebbe scavalcare. Ed anche la destrissima Meloni vorrebbe primeggiare. Non parliamo delle diversità di visioni sull’Europa e sui migranti o sulla follia di applicare dazi doganali.

Lo schieramento di centrosinistra molto ampio con perno sul Pd purtroppo non avrà l’appoggio dei fuoriusciti. D’Alema non vede nel Pd di Renzi quella sufficiente dose di vera sinistra che in verità neppure lui ha saputo dimostrare. Tanto che nessuno è in grado di ricordare un provvedimento di “sinistra”, uno solo, adottato dal presuntuoso “Baffino” quando è stato Presidente del Consiglio dei Ministri. Grasso. dopo avere fatto fallire il tentativo di Pisapia di mettere insieme un largo centrosinistra per una avversione personale verso Renzi, adesso si augura un accordo dopo le elezioni, affrontate senza reciproco rispetto. Sia Pietro Grasso che Laura Boldrini, beneficiati da Renzi alle più alte cariche dello Stato, ingrati, poco elegantemente hanno sporcato il piatto dove hanno mangiato per cinque anni. Vedremo.

Intanto noi lombardi abbiamo avuto una responsabilità in più, chiamati ad un voto che potrebbe essere una irripetibile occasione per porre termine all’infausta ventennale era inaugurata da Formigoni e proseguita dal leghista Maroni. Un’epoca caratterizzata da clientelismi, privilegiando le appartenenze anziché i meriti e provocando fughe dei migliori particolarmente nel delicato settore della sanità celebrato come eccellente. Basta però metter piede negli ospedali per capire come si è accolti nei Pronto soccorsi, come mancano letti, medici, personale sanitario ausiliario o dover attendere mesi e mesi per avere una prestazione specialistica Una situazione che si trascina da anni a dimostrazione dell’incapacità di chi ha diretto la Regione Lombardia.

Il centro sinistra ha presentato in questa tornata una candidatura veramente forte: Giorgio Gori, attuale sindaco di Bergamo, non un manager prestato alla politica ma un politico con un’ampia pratica manageriale. Il confronto col candidato del centro destra Attilio Fontana, indicato dopo il misterioso “gran rifiuto” di Roberto Maroni, è tale che se si trattasse di un incontro di boxe sarebbe vietato dalla Federazione italiana di pugilato per eccessiva differenza di peso. Altra categoria. Del resto Fontana, ex sindaco di Varese, brava persona, ma non uomo “del fare”, avrebbe potuto tranquillamente ritirarsi a vita privata magari nell’amata Saint Moritz, tornando a scorrazzarre con l’altrettanto amata Porsche, lasciando quella Fiat 500 con la quale si è mosso nella campagna elettorale. Non lo ha fatto per amore leghista e della politica ed è sulla breccia con buone probabilità di vincere. Anche perché ancora una volta la sinistra-sinistra è andata divisa allo scontro e a Giorgio Gori mancheranno i voti di Liberi e Uguali. Almeno cosi hanno deciso i dirigenti. Speriamo che gli elettori di sinistra siano politicamente più intelligenti dei capi. Chi col suo mancato voto avrà fatto perdere Gori non avrà perdono neppure dopo 100 quaresime.

Ogni voto è utile. Sempre. Ma non va sprecato. Altrimenti rimane utile soltanto a soddisfare l’ambizione di qualche singolo che intende conservare la sua poltrona.

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