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Divagando

PD, COME RINASCERE

AMBROGIO VAGHI - 14/09/2018

pdIn pochi mesi di vita l’attuale governo continua a non farci capire cosa vorrebbe fare. Il connubio verde -giallo, rimanendo in campo cromatico, diremmo che riesce a farcene vedere di tutti i colori. Osservatori attenti e fra di essi in particolare il nostro direttore col suo recente editoriale intitolato “Perle” hanno descritto le contraddizioni di una coalizione innaturale.

Lega e Cinquestelle che in campagna elettorale hanno venduto agli elettori illusioni con mirabolanti promesse, non solo stanno comprendendo come promettere è semplice ma governare è assai difficile Ognuno di essi si preoccupa di dimostrare la volontà assoluta di attuare quanto promesso, in sintesi gli uni il reddito di cittadinanza, gli altri la flat tax. Diminuire le tasse, cioè le entrate tributarie, e pretendere di avere risorse per finanziare il cervellotico reddito di cittadinanza è un poco come pretendere la botte piena e la moglie ubriaca, secondo il saggio e antico detto.

Già all’inizio le prospettive erano altalenanti e gli scenari che si prospettavano assai diversi. Salvini sembrava interessato ad andare subito a nuove elezioni per sfruttare il vento a lui favorevole e scalzare per sempre da leader della coalizione di centro destra, il vecchio e ingombrante Silvio Berlusconi. Non solo, ma alzando la voce e minacciando gli organi dell’Unione Europea con lo slogan “Prima l’Italia e gli italiani “, voleva giungere all’agognato obiettivo: sovvertire i parametri dell’Unione e non rispettarne i patti fino al punto di esserne espulsi. Euro compreso, addio. Un obiettivo del tutto simile a quello propagandato dai Cinquestelle, euroscettici o antieuropeisti di lunga data. Per di più un risultato ottenuto lucrando sul vittimismo.

Ora i due dioscuri sembrano avere capito che un simile obiettivo, per il quale era congeniale la collocazione del controverso Paolo Savona che ebbe il no del Presidente della Repubblica, non sia vantaggioso per il nostro Paese. L’intervento del ministro dell’Economia Tria e non tanto del travicello presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha aiutato a fare chiarezza tra i mercati finanziari smorzando i timori di tutti i settori economici del Paese, Confindustria in testa.

Lo scenario che si presenta è modificato. L’ha compreso Salvini, pure sommerso da tante grane non di poco conto: la Lega senza soldi per i 49 milioni che deve restituire allo Stato, jl sequestro degli immigrati stipati a Catania sulla nave Diciotti e la denuncia al Tribunale dei ministri, gli astiosi commenti alla Magistratura che aprono pericolosi conflitti tra il potere esecutivo e giudiziario. Il vicepremier ora si dice sicuro di stare al governo per cinque anni. E non è detto che non sarà cosi. Si incomincia a dire che per realizzare i programmi governativi c’è tempo l’intera legislatura… Riforme possibili, per carità, ma non tutto subito. Intanto si può benissimo rimanere nei parametri economici di spesa e di PIL imposti dai trattati europei, dice ancora il ministro Tria. Giravolte clamorose.

Insomma: “tirare a campare è meglio che tirare le cuoia” era l’affermazione della vecchia volpe politica Giulio Andreotti e vale ancora oggi.

Certamente di ostacoli da superare ce ne saranno parecchi. Il più vicino la legge di bilancio. Un ostacolo serio: si tratta di trovare diecine di miliardi per far tornare i conti, ostacolo serio ma non impossibile secondo Tria secondo. Si può benissimo stare al di sotto dei parametri dell’UE sia col PIL sia col deficit. Sperando nella buona stella, e cioè che un aumento dei tassi di interesse, oneroso per lo Stato, induca risparmiatori e sottoscrittori esteri a sborsare quei 400 miliardi di euro necessari ogni anno per coprire le nuove emissioni di titoli.

Anche l’opposizione dovrà tenere ben conto degli scenari che cambiano. Contro un governo così pericoloso per le stesse istituzioni democratiche (le dichiarazioni dei Di Maio e dei Salvini sono assai eloquenti) occorre più che mai una opposizione ampia di tutte le forze democratiche, espresse, inespresse, attendiste o sfiduciate delle quali il nostro Paese è ancora ricco. È chiaro che spetta essenzialmente al Partito Democratico sollecitarle ed amalgamarle. Ma quale PD ? Il recente passato non è certo incoraggiante. Il tentativo di Pisapia è fallito per i no dei fuoriusciti dal PD, rimasti poi con un pugno di voti, e dello stesso PD condotto da un Matteo Renzi sempre ebbro del boom del 40 % ottenuto alle elezioni europee che già l’aveva indotto in errore e alla sconfitta nel referendum istituzionale del 4 dicembre. E stato fatale per il PD non avere mai approfondito con un dibattito serio cosa stava dietro sia a quella grande vittoria sia a quella sconfitta. Dire che la colpa è stata di tutti è come dire che è stata di nessuno. Errore grave. Matteo Renzi si è giustamente attribuito la responsabilità della sconfitta del referendum dimettendosi da Presidente del Consiglio dei Ministri ma ha continuato alla testa del PD con la sua politica divisiva, di non ricerca delle alleanze, fermo nell’illusione del Partito maggioritario. Il risultato catastrofico si è visto, prodotto non solo dall’inefficacia del messaggio politico lontano dai problemi di chi subiva maggiormente i disagi della crisi ma anche dalla condizione organizzativa di un partito ridotto ai gazebo estemporanei e limitato nella presenza sui territori.

Neppure la clamorosa sconfitta elettorale del giugno scorso ha smosso più di tanto Renzi. L’allarme rosso avrebbe dovuto portare al più presto alla convocazione di un congresso straordinario invece si è cominciato a battibeccare sullo statuto (ormai obsoleto) tirando le cose per le lunghe. È stata riunita quella pletorica assemblea nazionale che esaurì i suoi lavori in qualche ora di discorsi tutti interni, non certo quello che si attendeva il Paese. Sostituito da segretario col suo vice Maurizio Martina, Renzi ha continuato e continua ad essere il segretario ombra contando anche sulla maggioranza del gruppo dei deputati che a lui fanno capo. Francamente in questi primi 100 giorni di governo verde giallo il PD è sembrato sonnolento. Deve scendere al più presto dal suo Aventino e fare una opposizione decisa, visibile, che denunci le malefatte governative, che si batta per le soluzioni di interesse dell’Italia con maggiore attenzione all’equità sociale e alle parti più in difficoltà. Dovrà ricercare prima di tutto la indispensabile unità interna finendola con le prime donne inconcludenti. Il PD ha numerose opportunità per risollevarsi.

 Più che mai gli occorrerà un Congresso, ormai chiesto da intere regioni, per definire come condurre una efficace opposizione che faccia emergere i congeniti contrasti interni dei verde-gialli portandoli ad una possibile esplosione. Un congresso anche per attrezzarsi ad una lunga marcia di cinque anni qualora il governo dovesse durare così a lungo. Ma un congresso vero non una semplice conta di posizioni già espresse ai vertici, un confronto aperto, a tutti i livelli dalla base ai vertici e non il contrario. Che offra un orizzonte ideale di importanza strategica, ricco di valori nuovi nell’epoca della globalizzazione indicando la strada per garantire crescita, lavoro ed equità sociale. Necessita un partito che non rottami la sua storia, le sue radici senza le quali non si va molto lontano. Che punti sui giovani e sul recupero dei tanti che l’hanno abbandonato. Non è il caso di cambiare nome ma modi di essere, ricercando alleanze, abbandonando ogni senso di superiorità e la convinzione che chi non è del PD è un suo nemico. Uomini nuovi e meno nuovi, non compromessi, un usato sicuro, non mancano. Nicola Zingaretti, attuale presidente della Regione Lazio, si presenterà candidato segretario del PD alle prossime primarie; Dario Franceschini e Piero Fassino con la loro consistente AreaDem si sono già fatti avanti.

Uomini nuovi per un Partito di direzione non monocefala, che sia veramente quell’intellettuale collettivo di cui parlava Antonio Gramsci quasi cento anni or sono. Che attui nuovi anche se antichi metodi di democrazia interna. Dove tutti gli iscritti abbiano eguali diritti e doveri: diritto di organizzarsi in gruppi e correnti, dovere di rispettare le decisioni prevalse in maggioranza lavorando tutti per raggiungere i medesimi obiettivi. Solo così il PD potrà tornare vincente.

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