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Qui Haiti

STORIE DELLA FEDE

JANUSZ GAWRONSKI - 12/10/2018

medjugorjeVengo da una famiglia cattolica. Mi sono convertito in modo strano, nel 2004, a quarantaquattro anni. Era morta una persona cara. Ho aperto il Vangelo, che non toccavo da almeno 25 anni. Le storie sono saltate fuori dalle pagine, o meglio: io mi sono trovato in Palestina, presente alle scene, vedendo i volti, sentendo le voci, avvertendo il caldo e la polvere. Più che una conversione, parlerei di presa d’atto.

Ci ho messo un po’ a maturare. Nel 2012 ho scoperto la bellezza della povertà, il suo irresistibile richiamo. Ho venduto la mia azienda.

Nel 2015 a Medjugorie ho ricevuto una guarigione come uno dei dieci lebbrosi. Nel 2016 sono partito per Haiti, seguendo una chiamata interiore fortissima. Ho aperto una piccola missione. Costruito acquedotto, casette, ambulatorio. Dieci mesi fa ho sposato una donna particolare, civilmente, che mi ha lasciato dopo quattro mesi.

Ho continuato con più energia le mie cosette a Haiti.

A Medjugorie sono andato per mie esigenze spirituali. A parte le preghiere di un po’ di gente, avevo delle richieste per me: Umiltà,Preghiera effettiva, una Fede sufficiente a dire a un albero di sradicarsi e piantarsi in mare (o guarire un malato di cancro), capire la Madonna, Semplicità.

Detto così, sinteticamente, può sembrare una lista arida, tuttavia, dietro a ogni punto, c’è un po’ di storia. La richiesta di semplicità è parente della richiesta di umiltà. Entrambe, si allacciano alla mia eterna arroganza, la mia ricchezza di idee che spesso si traduce in fastidio per le opinioni altrui. Ho iniziato a capire di aver bisogno di tanta umiltà, per stare meglio io, per accompagnare la crescita della fede. Ho capito che una crescita di fede in Cristo senza corrispondente crescita dell’umiltà è una crescita del vecchio ego, sotto nuove sembianze, e basta. Ho capito che l’umiltà è una condizione preferibile, che rende sereni.

La richiesta di umiltà e semplicità va oltre la preoccupazione di “non sprecare” questa o quella occasione. Se ci penso, io so che cosa fanno molte persone, quando prevaricano: cercano attenzione, accoglienza. Non dico tutte, ma molte. In ogni caso, sono occasioni di dialogo, apertura. Attualmente sono occasioni che a volte spreco. Non sempre. Non spesso. A volte. Un certo modo di reagire agli altri è un negare accoglienza, è non-servire.

Gesù pregava moltissimo. Strano. Chissà a che gli serviva, essendo Gesù. Sebbene lui sia l’Esempio, non lo faceva per dare l’esempio: ne aveva davvero bisogno, lui, come uno che sa di avere al massimo ventidue ore di autonomia, di non poter arrivare al termine della giornata senza ricaricarsi alla fonte inesauribile di dio. Ti immagini? Dio che prega dio? Roba da non credere.

 Pregando, Gesù ha fatto una cosa che io capisco essere necessaria anche a me. Da questo la mia richiesta, a Medjugorie, di imparare a pregare. Pregare è una attività di dialogo con dio. È una attività un po’ particolare. Apparentemente, la fai da solo, senza feedback dall’altro. Apparentemente, l’altro non c’è. Oppure, se c’è, non risponde. Quindi è faticoso. Uno può sentire di farlo senza utilità. (La gente sembra avere trovato la soluzione a questo silenzio-assenza di dio parlando tutto il tempo, dicendo rosari e litanie, ma questo a mio umile avviso non è pregare come faceva Gesù, non è dialogo, è rimbecillimento, non serve all’uomo).

Sono tornato da Medjugorie avendo pregato un po’. Ho gustato di più la bellezza della preghiera. Ero venuto per questo. Dio non si fa sentire, però sì: qualcosa che non so mi illumina, tranquillizza, rasserena. Così in teoria dovrei aver iniziato a pregare, per sempre. In realtà, i miei stati di esaltazione post-Medjugorie non durano mai troppo a lungo. In realtà, contro-realtà rispetto alla precedente, più vado avanti e più la vita senza preghiera mi sconfigge: se non ho quella risorsa in più, fondamentale, che mi dà la preghiera.

Il cammino di perfezione ha bisogno di tanta preghiera. Il cammino di perfezione è riservato a ognuno di noi. La perfezione umana. Quella che normalmente chiamano “santità”. La santità ci riguarda. Non è una condizione astrusa, riservata a pochi rari eletti. È per noi. Per Janusz. Per O. Siamo personalmente chiamati, noi, proprio noi, alla santità, vale a dire alla felicità maggiore.

Per questo ho iniziato a chiedere una grande fede. Perché mi sono accorto, ho capito, che davvero è possibile dire a un albero di sradicarsi, andarsi a piantare in un lago. Davvero è possibile sanare un malato terminale. È questione di fede.

Mi sono domandato questo. Io, Janusz, personalmente, ho mai visto una persona capace di fare queste cose? Se non ho mai visto una tale persona, che significa? Come è possibile che la chiesa cattolica non ha affatto tali persone? Vedi? Il cristianesimo, il cattolicesimo, sono malati, malati di poca fede. Io vorrei essere utile agli altri.

Vorrei che Dio salvasse chiunque soffra, chiunque. Lui può utilizzare chiunque lui voglia. Io posso immaginare che lui vuole. Se non lo fa, se non distribuisce tali poteri, si vede che la gente non li chiede. La “gente”, include la gente peggiore, quella migliore. Se la gente, inclusa la gente migliore, non li chiede, allora mi posso fare avanti io, io, scarto di essere umano. Piuttosto che niente, forse li darà a me. Lo dico, e possono suonare come parole vuote, ma insisto a dirlo: se uno chiede, con fede, lui arriva, consegna. Quindi ho chiesto la santità. È semplice.

Ho tendenza a mangiare troppo, ingrassare. Nella vita non sono stato esattamente una persona casta. Le due faccende: cibo, donne, sembrano essere correlate. Nei giorni di Medjugorie, diverse voci di dio mi hanno detto: devi diventare casto, puro.

Mi sono arrivati due discorsi, da persone diverse, dello stesso tenore. Li ho presi per “voce di Dio”. Ho riconosciuto l’impronta del discorso profetico. I due discorsi erano proprio rivolti a me.

 Non è affatto facile per me. Anzi, è impossibile. Se dipende da me, non sarò mai casto. Non è un fatto fisico. L’irrequietezza di un incontro mi divora. Il piacere c’entra poco, credo. È proprio irrequietezza.

Il meccanismo del cosiddetto “piacere” è curioso. Prima, desidero. Se vado dietro al desiderio, lo assecondo, una volta ottenuto, resto soddisfatto per poco tempo. È la storia della sorgente, hai presente? “chiunque beve di quest’acqua, avrà nuovamente sete”.

Faccio un esempio. Mi trovo in una sala d’attesa, per un bus che parte fra quasi due ore. Improvvisamente desidero qualcosa, per riempire l’attesa. Un dolce. Un panino. Qualcosa. Non ne ho alcun bisogno. Ugualmente, provo una mancanza. Se ci faccio caso, al fatto che non ne ho alcun bisogno, il desiderio evapora, come un miraggio smascherato. Non era vero.

Castità, che parola minacciosa. La associo, credo come tutti, al divieto. Divieto di rapporti vietati, sembra un gioco di parole. Vietati, perché? La bibbia è piena di apparenti divieti. Dico: apparenti, perché secondo qualcuno sono dei consigli, degli avvertimenti, del genere: sei fai questo, ti farà male, nessuno te lo impedisce, però è nel tuo interesse non farlo.

Castità, castità. Andando oltre il divieto.

Esisterà una castità non punitiva? Provo a definire “castità” come posso immaginare che sia. È una mia libera elaborazione. Non so se nessuno l’ha mai definita così. Per me uno è casto quando è capace di compiere qualunque azione in vista del piano di dio. Suona astratto, ma è, ad esempio, l’immagine che io ho di certe persone. Castità = Dio al primo posto, niente che passa davanti, mai. Non è quindi un divieto, una lista di divieti. Non è: non toccare una donna, un uomo, non toccarti. È: compi ogni atto con quella finalità. Se non ha quella finalità, fermati, non compierlo, è inutile, ti fa male.

Come mi posiziono io rispetto a questa definizione? Semplice: mi posiziono male, come uno che è altrove. Del resto, ho chiesto una grande fede, la santità, non a caso!

Ecco, inizio a capire. È sempre la stessa richiesta. Chiedere umiltà, semplicità, preghiera, fede, santità, fino alla castità, è sempre chiedere di vivere una relazione con dio saldamente al primo posto, talmente al primo posto che praticamente non esiste più un secondo posto.

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