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Attualità

SOVRANISMO PEDATORIO

CESARE CHIERICATI - 30/11/2018

milanSecondo gli esperti di comunicazione Matteo Salvini fa di tutto e di più nelle sue scorribande mediatiche per diffondere il messaggio: “Visto italiani? Io sono come voi”. Anche la sua uscita calcistica, dopo il pareggio all’ultimo istante della Lazio col Milan (1 a 1) domenica scorsa all’Olimpico, si inserisce a pieno titolo nel processo di identificazione da tempo in corso tra il capo, cioè lui e il suo popolo di elettori / adoratori. Nel puzzle salviniano mancava però un intervento ufficiale nel mondo del calcio. Lo ha fatto, come sempre a gamba tesa, sulla scelta dell’allenatore rossonero Rino Gattuso – di cui si proclama peraltro grande estimatore – reo di non aver operato sostituzioni negli ultimi minuti della partita diversamente dagli avversari che avevano invece effettuato tutte quelle consentite. Forse l’innesto di un giocatore fresco, secondo il leader leghista, avrebbe potuto evitare il goal a fil di palo del neo entrato Correa, argentino di piedi buoni.

Di qui la reazione piccata e prevedibile di Gattuso che ha invitato il suo interlocutore ad occuparsi dei veri problemi del paese e non delle sostituzioni in campo. A ben vedere la querelle calcistica è secondaria e non è affatto detto che Salvini abbia nel merito torto a priori. Ciò che ha cercato invece di affermare domenica sera è che ora, dopo il congedo berlusconiano, è lui il primo tifoso milanista. È lui a sedersi accanto al presidente avversario, è lui a proclamare la sua fede incrollabile nei colori sociali, è lui ad auspicare, tifoso si ma giusto e rispettoso delle leggi del calcio ci mancherebbe, una sanzione esemplare per Gonzalo Higuain colpevole di un troppo acceso diverbio con l’arbitro Mazzoleni. Sa benissimo il nostro che il Milan ha un patrimonio di tifosi inferiore per numeri solo alla Juventus e, forse, in questo momento all’Inter, dunque avverte che c’è comunque un grande orto da coltivare in chiave di consenso.

È una vecchia legge della politica, dove si crea uno spazio, un vuoto, qualcuno tende a occuparlo e lui lo fa con la scaltrezza e l’improntitudine che gli sono proprie, nella piena e compiaciuta consapevolezza che l’operazione è per giunta a costo zero. Nel senso che i capitali prima li forniva Silvio in persona e ora il fondo di investimenti Elliot dopo l’oscura parentesi finanziaria cinese. Il Milan di oggi ha il volto ispido di Gattuso, quello gentile di Leonardo e Maldini, garanti di sapienza calcistica e conoscenze di mercato, infine quello tranquillo del presidente Paolo Scaroni, super manager di lungo corso.

Manca un nuovo Galliani, l’uomo immagine della vecchia gestione arcoriana, amatissimo dai media per disponibilità, simpatica partigianeria e abilità nel muoversi nelle stanze federali e della Lega calcio. Era un ombrello protettivo per tutti: per gli allenatori che Berlusconi cercava di condizionare imponendo le sue convinzioni tattiche maturate all’oratorio o alla Edilnord, come acidamente ricordava il barone Liedholm; per i calciatori quando il pubblico impaziente di San Siro li metteva nel mirino; per la società Milan nel suo complesso.

Gattuso va protetto con una figura terza, uno come il nostro concittadino Marotta che è approdato sulla sponda interista dopo le imprese juventine. Al Milan dal primo dicembre sarà invece in sella come amministratore delegato Ivan Gazidis, sudafricano, ex numero uno dell’Arsenal, raccontato come grande uomo di business e di organizzazione. Non è difficile immaginare che per lui non sarà semplice calarsi nella realtà del variopinto pianeta dell’italica pedata. Soprattutto dovranno spiegargli che le esternazioni calcistiche del ministro dell’interno non sono del tutto disinteressate, che il bene del Milan non coincide con gli interessi elettorali del ministro degli interni, che le squadre sono patrimonio di tutti i tifosi indipendentemente dalle loro opzioni politiche. Anche se il “descamisado” lombardo parla “da ministro, da papà, da italiano”. Per il bene ovviamente di tutti e del Milan in particolare…

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