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Parole

DESIDERIO DI TREGUA

MARGHERITA GIROMINI - 03/05/2019

Anna Frank

Anna Frank

Credo sia capitato anche ad altri, in questi ultimi tempi, di esclamare, o magari anche solo di pensare: voglio una pausa dalle cose brutte, non posso caricarmi sulle spalle il male del mondo. Con cui, oltretutto, anche se volessi, non potrei fare a meno di scontrarmi perché ci viene proposto quasi senza sosta, sbandierato, cacciato a viva forza sotto gli occhi.

Io l’ho desiderato spesso, di prendermi una pausa.

Davanti alla proposta di un film “pesante” di contenuti: il bambino migrante che attraversa mille dolorose peripezie, l’orrore della Shoah; o di fronte alla cronaca quotidiana degli attentati terroristici, con le vittime innocenti che pregavano in una chiesa, in una sinagoga o in una moschea, rimaste a terra per mano di un fondamentalista religioso o di suprematista bianco.

Anche certe parole mi suscitano orrore quanto gli stessi eventi tragici. Mi inducono il desiderio di una tregua con la quale sopire, non certo dimenticare, l’ansia che mi provoca questa quantità esagerata di male.

Inquietante è l’accoppiata del sostantivo + aggettivo dell’espressione “suprematista bianco” con il corredo di eventi già visti: il pane calpestato, i pacchi di viveri sottratti a questi poveri per essere dati a “quegli altri” poveri, i roghi nelle baracche delle periferie, i pestaggi gratuiti degli emarginati.

La rete e i media sono stracarichi di espressioni violente generate dalla malvagità materiale o intellettuale di uomini all’apparenza “normali”.

Per questi motivi mi serve una breve vacanza mentale e spirituale, che mi lasci il tempo di riaccostarmi al bello: della natura, delle persone per bene, delle buone notizie, degli sguardi puliti.

In risposta ai miei pensieri mi ritrovo un trafiletto ritagliato da un settimanale tempo addietro: sono le riflessioni di uno scrittore che è stato anche insegnante, quindi affine al mio mondo per sensibilità, attenzione e cura ai più giovani, quelli a cui vorremmo lasciare un’eredità accettabile.

“Melassa criminale”, è il titolo dell’articolo: una fustigata in piena regola.

Mi avverte che bisogna imparare a essere più duri con noi stessi: non va bene proteggersi dalle opere che ci causano dispiacere.

Continua: basta con le frasi che definiscono troppo crudele questo film, o questo libro, o questo spettacolo, smettiamola di rifiutare i racconti di vita vera e le fiction che non concedono alcuna speranza.

Non si può rigettare un’opera letteraria perché suona come una condanna senza appello del genere umano. Non va bene neppure cercare sollievo in una canzoncina divertente che ci distrae, ci rende più lieve il giorno.

La morale, in sintesi, è: se i tempi sono bui, il buio va rappresentato.

Se i tempi sembrano fulgidi, ricordiamoci che la tenebra è dietro l’angolo.

Ma non finisce qui.

Lo scrittore ci ricorda che i tranquillanti si acquistano in farmacia. Non in libreria, non al botteghino del cinema e del teatro.

Versare melassa sulle verità brucianti per renderle consolatorie, andrebbe considerato un crimine.

Fatico ad accettare il pessimismo cosmico dell’autore, anche se ne colgo e ne accolgo il pressante invito: imparare a guardare dritti nella realtà, anche se dolorosa, e non permettere mai che la portata della “smisurata verità del male” venga ridotta a dimensioni più “aggraziate”.

Ci proverò, lo prometto.

Anche se ho pur sempre bisogno di aggrapparmi ai pensieri di una ragazza di 80 anni fa, la quindicenne Anna Frank, che nel suo Diario annotò “Nonostante tutto, credo tuttora all’intima bontà dell’uomo”.

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