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Attualità

FINE PENA MAI

CESARE CHIERICATI - 11/10/2019

bruscaMartedì scorso la Corte di Cassazione ha negato gli arresti domiciliari a Giuseppe Brusca, il feroce capo mafia detenuto dal 20 maggio 1996, che premette il pulsante del telecomando dell’esplosivo che fece saltare in aria il tratto di autostrada di Capaci (23 maggio 1992) determinando la morte del giudice Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato e degli agenti della scorta: Rocco Di Cillo, Vito Schifani, Antonino Montinaro.

La suprema corte ha valutato che “non è ancora acquisita la prova certa e definitiva del suo ravvedimento”, un orientamento diverso da quello espresso dalla Procura nazionale antimafia che aveva invece accreditato di pentimento il criminale siciliano. Quest’ultimo ha senz’altro compiuto un lungo percorso di riabilitazione sancito da numerosi permessi d’uscita dal carcere e da una serie di misure premiali previste dalle leggi vigenti in materia.

Non ci sono dubbi in merito, ma vale forse la pena ricordare, con qualche particolare biografico in più e non di poco conto, di chi stiamo parlando. Soprannominato u verru (il porco), Brusca, nato a San Giuseppe Jato nel 1957, vanta un curriculum criminale da brividi come lui stesso ha dichiarato a Saverio Lodato nel libro “Ho ucciso Giovanni Falcone”, Mondadori. “Ho ucciso Giovanni Falcone. Ma non era la prima volta: avevo già adoperato l’auto bomba per uccidere il giudice Rocco Chinnici (27 luglio 1983, uno dei grandi pionieri del contrasto alla mafia ndr) e gli uomini della sua scorta. Sono responsabile del sequestro e della morte del piccolo Giuseppe Di Matteo che aveva tredici anni quando fu rapito e quindici quando venne ammazzato. Ho commesso e ordinato personalmente oltre 150 delitti. Ancor oggi non riesco a ricordare tutti, uno per uno, i nomi di quelli che ho ucciso. Molti più di cento, di sicuro meno di duecento”.

Figlio d’arte aveva preso il posto del padre Bernardo fiancheggiatore della cosca corleonese capeggiata da Totò Riina, ne prese il comando in accordo con Bernardo Provenzano dopo l’arresto di Salvatore Riina e Leoluca Bagarella. Mentre stava guardando il film sulla strage di Capaci venne arrestato in un’abitazione di Agrigento. Condannato all’ergastolo ostativo, il cosidetto “fine pena mai”, decise poi di collaborare con la giustizia e la sua pena fu ridotta a ventisei anni e il percorso carcerario alleggerito dalle premialità ricordate all’inizio. Sarà libero nel 2022, dunque fra tre anni.

Sempre nei giorni scorsi il “caso Brusca” si è incrociato con la sentenza della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo (Cedu) che ha respinto un ricorso dell’Italia e confermato una decisione dello scorso 13 giugno in cui l’ergastolo ostativo veniva definito trattamento inumano e degradante. Consente infatti al condannato per reati particolarmente gravi, come quelli mafiosi, di beneficiare di misure alternative alla detenzione solo collaborando con la giustizia. In linea di principio si può concordare con la Cedu. “Il fine pena mai” nega infatti in radice la speranza di riscatto di un criminale che è pur sempre una persona umana, in quanto alla pena stessa non è possibile applicare alcuna modifica di alleggerimento se non passando, come già detto, attraverso un percorso di collaborazione con gli inquirenti.

In linea di fatto, sul piano della storia criminale italiana non si può concordare con la Corte di Strasburgo la cui raccomandazione non ha peraltro carattere obbligatorio. Bisogna infatti ricordare che l’ergastolo ostativo è entrato nell’ordinamento italiano come risposta estrema alle derive stragiste dei primi anni novanta e alla serie di delitti mafiosi che le avevano precedute in un crescendo senza fine sconosciuto nel resto d’Europa.

Nel Sud del paese e non solo ci sono territori dello Stato e attività criminali di vario segno come le ecomafie fuori dal controllo dello Stato stesso. Forse i giudici di Strasburgo hanno una conoscenza scarsa e scolastica di questi fenomeni e faticano a comprendere come una misura estrema – qual è in effetti l’ergastolo ostativo – sia ancor oggi il male minore rispetto alla forza pervasiva, imprevedibile, destabilizzante e violenta delle mafie.

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