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Parole

NORMALITÀ?

MARGHERITA GIROMINI - 07/02/2020

callyIl previsto intervento a Sanremo del rapper Antonio Signori, in arte Junior Cally, ha provocato un piccolo terremoto che ha convogliato su di sé i pareri di esperti di destra e sinistra e di opinionisti di varie fazioni.

Ci sono state interpellanze, mozioni, denunce. E altrettanti decisi interventi a sostegno sia del rapper sia del conduttore del Festival, Amadeus.

Sull’argomento ha scritto la settimana scorsa un giovane collaboratore di questo giornale, Fabrizio, con l’invito a noi “over” a compiere uno sforzo di comprensione verso il mondo dei giovani.

A favore del rapper ci sono la libertà di espressione degli artisti, la libertà di pensiero e di espressione garantite dalla Costituzione, la necessità di aprirsi al linguaggio dei giovani e di capire le modalità con cui essi rappresentano sé stessi e i propri bisogni. Oltre alla constatazione che in passato cantanti ben più famosi, i Beatles ad esempio, inneggiavano alle droghe, più o meno leggere, apertamente o tramite metafore. Non ultima la riflessione sui versi per nulla conformisti, di cantanti amatissimi dal pubblico di tutte le età come Vasco Rossi.

Non sono infondate neppure le ragioni contro.

Tralasciando gli eccessi di coloro che hanno sporto denuncia alle autorità per “istigazione alla violenza sulle donne e alle forze dell’ordine, odio, oltraggio alla morale, in violazione della Costituzione”, ci imbattiamo negli interventi di parlamentari dell’uno e dell’altro schieramento, di associazioni femministe, di giornalisti e sociologi, anche di semplici cittadini che si sono lamentati attraverso la radio dell’inopportunità di un tale invito.

Amadeus ha difeso il rapper: a Sanremo porterà una canzone nuova, niente a che vedere con le precedenti. Merita, come altri giovani, di essere ascoltato per la musica che produce.

Io ho qualche seria difficoltà a capire. Con remore di ordine prevalentemente educativo, rafforzate dall’esame dei testi prodotti nel tempo da Junior Cally.

Un’esistenza difficile quella del rapper, al secolo Antonio da Focene (Roma), che mette in musica il racconto della sua esperienza: dietro si intravvede una vita fatta di povertà, di disagio, di rabbia e di desiderio di riscatto.

Appare evidente che le sue relazioni affettive con il genere femminile non sono avvenute all’insegna della cavalleria e del rispetto reciproco; che i suoi modelli di coppia si sono strutturati su una pesante asimmetria tra i due soggetti in causa, di qua l’uomo padrone, di là la donna sottomessa.

Junior Cally ha chiesto scusa per le parole usate in alcune sue canzoni “passate” che evidenziano una concezione della donna a dir poco patriarcale: “Si è vero, ho fatto tanti sbagli. Ma “quella” canzone voleva essere un testo in stile Kubrick”. (si dà il caso che Kubrick sia il regista di “Arancia meccanica”, film la cui violenza a distanza di anni riesce ancora a suscitarmi terrore).

Mi risulta inaccettabile il pensiero di un uomo che si rivolge alle donne con appellativi come mign**** o t****a, che afferma di volerne rimandare a casa una con le calze strappate, segno evidente di un rapporto consumato ai limiti della violenza.

Trovo terribile l’idea che modalità violente e aggressive siano da considerarsi “normali” e pertanto vengano cantate e ascoltate dai giovani di entrambi i sessi con la leggerezza che si riserva ai gesti routinari.

Mi preoccupa che anni di azioni positive sul tema dei rapporti tra i sessi, a scuola e nella società, non abbiano reso “off limits” messaggi di questo tipo.

Un tempo le canzoni troppo esplicite in materia di sesso erano relegate alle barzellette per soli uomini o ai ritornelli di alcune ballate da osteria. Oggi c’è un giovane rapper che sdogana quello e altro all’interno di canzoni che girano libere in rete, nelle case e nelle autoradio.

Non so se le canzoni di Junior Cally siano una forma di arte. Mi chiedo invece se sia il caso di presentare l’autore di un tale repertorio alla platea di Sanremo, all’interno di una manifestazione legata alla TV pubblica pagata con i soldi dei contribuenti.

Una società che si impegna in massicce campagne contro il fumo, contro l’alcol, contro le droghe, contro la velocità in automobile, a mio parere non dovrebbe demordere proprio sul tema della violenza nei rapporti con le donne, né dare visibilità nazionale alla rappresentazione della donna oggetto, della donna proprietà del “maschio”, mostrando a milioni di utenti l’autore di testi che contengono l’idea che sia normale insultarla, strattonarla, svestirla.

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