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Lettere

QUALI EQUILIBRI?

- 28/03/2020

Gentile Direttore,

ho letto con molto interesse gli articoli di Maniglio Botti, Andrà tutto bene? e di Mario Agostinelli, Nuovo modello. Li ho entrambi apprezzati. Non conosco Maniglio Botti, mentre conosco Mario Agostinelli (anche se non so come raggiungerlo per complimentarmi non avendo il suo indirizzo e-mail).

Devo dire che fin dall’inizio di questa vicenda del contagio da Covid-19 sono sempre rimasto molto perplesso rispetto ai biglietti, cartelli, lenzuolini che recavano l’affermazione «Andrà tutto bene». Io, come Botti, sono pessimista per natura. E se capisco la necessità di sperare, tuttavia, la prima domanda che mi son posto a fronte di quella affermazione è stata: «Per chi?».

D’accordo, prima o poi la pandemia passerà, come sono passate le epidemie di peste nel passato, come è passata la spagnola, senza che ci fossero le possibilità degli interventi sanitari che ci sono oggi e senza che ci fossero i vaccini che abbiamo oggi e che, prima o poi, arriveranno anche per il Covid-19. Ma quanti morti ci saranno? E per loro non sarà andata bene! (Mentre scrivo è stato superato in Italia il numero di 9.000!). E quante persone soffriranno per la perdita dei loro cari? E per loro non sarà andata bene e non andrà bene: per riuscire a convivere con un lutto e tornare a guardare alla vita in modo “sereno” (o quasi) è necessario molto tempo (fermo restando che ci sono lutti che non si superano mai del tutto: non è necessario fare esempi).

E’ che l’uomo tende a difendersi rispetto alla morte. Come si legge in Montale: «Se uno muore // non importa a nessuno purché sia // sconosciuto e lontano» (in Fine del ’68). E ci dimentichiamo dell’ammonizione di John Donne, che ci ricorda che quando suona una campana a morto, infine, suona per ognuno di noi, perché ognuno di noi partecipa dell’umanità.

Mi apre il cuore l’articolo di Mario Agostinelli, che mi fa ritornare in mente le discussioni sui diversi modelli di sviluppo degli anni Settanta del secolo scorso, che, per tanti motivi, son stati accantonati (forse un po’ troppo rapidamente), forse anche per la difficoltà di comprenderne bene i contenuti ed i metodi di attuazione e forse perché avrebbero intaccato (come intaccherebbero) situazioni di privilegi consolidati.

Non sono un economista e non ho, quindi, le competenze per parlarne. Peraltro, Agostinelli cita papa Francesco. E fa bene. A tale proposito mi viene in mente un passo della Envangelii Gaudium (nei §§ 53 e 55) sul quale occorrerebbe tornare e ritornare a riflettere: «Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può più tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è inequità. Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. (…).Una delle cause di questa situazione si trova nella relazione che abbiamo stabilito con il denaro, poiché accettiamo pacificamente il suo predomino su di noi e sulle nostre società. (…) L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr Es. 32,1-35) ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano».

Io temo molto il futuro. Passata la pandemia, oltre ai morti che avrà lasciato, ci saranno le difficoltà della ripresa economica. Temo che ci saranno molte situazioni di insolvenza, che si estenderanno a catena (esiste anche in campo economico una sorta di contagio virale! – se non ricordo male dai miei risalenti studi universitari, si chiama «legge del moltiplicatore», che opera in positivo come in negativo) e, di conseguenza, ci saranno minori possibilità di lavoro, con buona pace del disposto dell’art. 4 Cost. E il lavoro non è solo fonte di reddito, ma anche un mezzo in cui si esprime la persona umana, come singolo e nella formazioni sociali (art. 2 Cost.). Infine, non a caso, è nell’art. 1 Cost. che si afferma che l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro.

Quando si dice che ci sarà una situazione di recessione a due cifre si dice, in buona sostanza, che ci saranno molti più poveri, molti più «scarti» (per usare le parole di Francesco) e che tutti (o, rectius, quasi tutti: ci sono quelle che ne escono sempre bene) avremo minori possibilità economiche, con riflessi sulle famiglie e sulle persone a tutti i livelli.

Quando si entra in un ciclo economico negativo, quando i risparmi accumulati in una vita sono erosi in modo sensibile (per non dir peggio), quando non c’è lavoro, forse si può scoprire anche una maggior senso di solidarietà, ma spesso, troppo spesso si diffonde anche la disperazione e – come ci ha ricordato Saviano qualche giorno fa su La Repubblica – si creano le condizioni per la diffusione di situazioni illegali in cui trovano terreno fertile le grandi associazioni malavitose.

Occorre, dunque, essere consapevoli che il futuro non sarà roseo, almeno in tempi brevi. Penso che l’umanità (non solo noi italiani od europei: questa è una pandemia!) uscirà da questa vicenda. Saprà col tempo trovare nuovi equilibri, come è già accaduto in passato (infine: siamo usciti da ben due guerre mondiali! E in questa «guerra» contro il virus non cadono bombe che distruggono tutto: forse anche l’uso del termine «guerra» andrebbe un po’ dosato).

Quali equilibri non sappiamo, né sappiamo a quali costi (sul piano economico, dei diritti e dei rapporti sociali).

Noi abbiamo però un dovere, in questa navigazione a vista e magari messa in pericolo dai marosi a cui ho fatto riferimento: non dimenticare e tener presente che una stella polare c’è, rappresentata dal’’affermazione dei diritti inviolabili dell’uomo, recepiti dalla nostra Costituzione, come dalle altre Costituzioni democratiche nel mondo e dalla Carta fondamentale dell’Unione Europea. Diritti inviolabili che – come anche la nostra Corte costituzionale ha affermato – non possono prescindere dalla solidarietà, come ben capirono i Rivoluzionari francesi, che enunciarono un motto, «LibertéÉgalitéFraternité», che costituisce un trinomio inscindibile. Ed in ciò dobbiamo vigilare. Perché se dalla seconda guerra mondiale il mondo è uscito – ad un prezzo altissimo – con l’affermazione di sistemi democratici – almeno nel mondo occidentale – che i diritti inviolabili dell’uomo hanno «riconosciuto», dal precedente disastro è uscito in tutt’altro modo, con l’affermazione di uomini soli al comando, sirena omerica, che, come le sirene omeriche, appunto, diede luogo ad ulteriori disastri. Teniamola ben presente questa stella polare, che, in fin de’ conti, è il prodotto del sapiente e straordinario incontro delle tre grandi ideologie del Novecento (liberale, socialista e della dottrina sociale cristiana), che – io penso – hanno ancora molto da dirci, oggi e nel futuro.

Intanto penso che una cosa è fin d’ora chiara: occorrerà potenziare il «pubblico», cominciando da sanità, ricerca, giustizia e scuola, occorrerà tutelare i lavoratori, occorrerà aver riguardo alla sicurezza delle infrastrutture. Problemi antichi, mai risolti.

Riccardo Conte

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