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Quartieri

RUSSOFILI DI BELFORTE

DEDO ROSSI - 18/12/2020

rivisteNon so se sia proprio vero, ma dicono che l’edicolante di viale Belforte alla fine degli anni sessanta si vantasse di essere a Varese il maggior venditore delle rivista “Sputnik”.

Non è certo una notizia, questa, da turbare il sonno di qualcuno. Ma è una piccola curiosità, soprattutto perché saranno probabilmente in pochi tra chi ci legge a ricordare anche solo l’esistenza di questo mensile, “Sputnik”, il cui titolo tradotto dal russo significava letteralmente “compagno di viaggio” e si riferiva evidentemente al primo satellite artificiale orgoglio dell’Unione Sovietica.

“Sputnik” usciva il primo giovedì di ogni mese e la moglie dell’edicolante, grande fumatrice e altrettanto grande imbonitrice, lo metteva in bella mostra proprio lì dove i clienti appoggiavano le monete. Non poteva esserci un posto migliore, esattamente in mezzo a due mostri sacri delle vendite di allora: “La settimana enigmistica” e “TV Sorrisi e Canzoni”.

Quante copie di “Sputnik” si vendessero a Varese in realtà è rimasto un mistero. La sua caratteristica, cioè quella di essere un mensile sovietico tradotto in italiano, faceva sì che la propaganda mettesse in secondo piano la statistica. Le vittime della propaganda clericale e filoamericana, che immaginavano una Russia triste e cupa, piena di gelo e di uomini nascosti in baveri alzati, sospettosi e sospettati, trovavano nelle pagine di questa rivista la loro rivincita, la loro verità raccontata in storie dal finale fulgido e orgoglioso.

Nelle edicole varesine si sussurrava che le copie rese al distributore fossero praticamente pari a quelle arrivate. Non si sa se questa fosse propaganda antisovietica, ma anche in viale Belforte, nella roccaforte rossa, c’è chi ricorda che l’edicolante avesse confidato (ma solo agli intimi) che le copie vendute erano veramente poche, forse meno di cinque. Ma questo dato statistico, in fondo, non era neppure così tanto importante.

Importante era invece la missione di questa rivista. Era nata nel 1967 creata dall’agenza sovietica Novosti e si presentava come una rassegna sintetica della stampa sovietica per promuovere all’estero la vita scientifica, culturale, sociale, geografica. Il mercato di riferimento più numeroso (ognuno ovviamente nella propria lingua) era quello tedesco, spagnolo, ceco e francese, oltre a quello russo. Il tentativo di creare l’edizione italiana fu affidata all’editore Luciano Landi spa di San Giovanni Valdarno.

Ricordo (ma il ricordo potrebbe non essere preciso) un articolo in cui veniva sottolineato il coraggio di un boscaiolo di non so quale sperduto paese siberiano che salvò la vita a centinaia di persone rimuovendo dai binari di un treno decine di tronchi d’albero finiti sulla linea ferroviaria dopo una tormenta di neve, con il solo aiuto di una scure e di un ben fornito fascio di muscoli. E poi felici famiglie contadine, innamorate del loro lavoro e della loro nazione, che con il loro esempio silenzioso offrivano ai figli spontanee lezioni di vita. E avanti con fabbriche con operai impegnati alla realizzazione di un grande sogno, tecnologicamente all’avanguardia. E tecnici in camici bianchi, geniali e laboriosi che con i loro studi scientifici avrebbero risolto dolori e tragedie. A breve, naturalmente.

E ricordo perfino (in questo caso con precisione) un concorso che consisteva in un viaggio premio in Unione Sovietica. Bastava rispondere bene ad un questionario imperniato su argomenti del numero precedente. Spedito il tagliando, non restava che sperare.

Tra fatiche e sogni, la versione italiana della rivista tirò avanti fino al 1991, spesso in abbonamento sottoscritto per ragioni ideali. Nelle edicole era praticamente scomparso (o sonnecchiava nascosto) da anni. Tra alti e bassi, la rivista aveva seguito le traversie dell’Unione Sovietica e ancora oggi viene pubblicata solo in russo con il titolo “Sputnik Nowosti” e rappresenta tutto sommato un legame d’affetto per i cittadini russi che vivono all’estero.

L’idea di creare “Sputnik” era nata dalla speranza di emulare il successo rilevante di cui godeva nel dopoguerra la rivista americana “Selezione dal Readers’s Digest”, che aveva rappresentato anche in Italia un vero fenomeno editoriale. La rivista madre fu fondata nel 1922 a New York da Roy De Witt Wallace e da sua moglie Lila Bello Acheson e fu per decenni il mensile più venduto negli Stati Uniti, fino a raggiungere la tiratura di 13 milioni di copie nel 2004. Ma il vero successo fu quello internazionale: nel mondo, in 77 anni, era stata la rivista più venduta, stampata in 50 edizioni in 78 paesi e in 21 lingue, con un totale di vendite mensili di 130 milioni di copie.

Quello che aveva spinto alla nascita di “Sputnik” non era stata tanto la volontà di emulare il successo economico, l’imponente numero di copie vendute del concorrente americano, ma soprattutto la volontà di creare un contraltare, comunicare come la società sovietica fosse un’alternativa valida, felice e soprattutto più giusta rispetto al progetto capitalista americano.

Utilizzare un’ idea editoriale per divulgare l’idea del felice modello americano era infatti la vera missione di “Selezione”. E il suo successo editoriale si basava su una formula semplice ma innovativa: quella di raccogliere una selezione di articoli pubblicati da altri periodici, spesso condensandoli per renderli adatti allo stile della rivista. Questo permetteva nello spazio di un mensile di circa 150 pagine (di cui almeno 25 di pubblicità) in formato 18 x 12, si presentare decine e decine di articoli, spaziando dalla politica alla diete, dalle storie di vita all’arte, ai personaggi famosi, alle storie minori, alle citazioni famose, ai consigli per vivere felici: il tutto con il comune denominatore del sogno di un’America bella, buona e accogliente, garante di tutte le libertà possibili e immaginabili.

Negli anni le edizioni di “Selezione” delle singole nazioni e lingue avevano man mano accresciuto una propria autonomia di argomenti rispetto alla casa-madre americana ma la filosofia di fondo restava in modo inossidabile la stessa. Dopo un primo periodo dal 1948 al 1967 in cui venne stampata in Italia dalla Mondadori, la rivista passò al Gruppo Editoriale Camuzzi spa, con direttori di prestigio come Ludina Barzini e Pietro Mariano Benni che accentuarono la italianità della rivista, consolidandone il successo.

Ma la crisi del settore era già alle porte. La Camuzzi Gazometri spa aveva ceduto all’Enel il settore della distribuzione del gas naturale in Italia e non aveva più interesse per il settore editoriale in cui era entrata per diversificare le proprie attività. Nel 2007, cambiato il mondo della pubblicità e cambiati gli interessi imprenditoriali (e anche i gusti dei lettori) “Selezione” cessa le sue pubblicazioni. Nel 2008 una società editoriale di Trieste, la MK Group, annuncerà un rilancio in realtà mai realizzato. È la fine.

Anche negli Stati Uniti il crollo delle vendite del 2006 era stato vertiginoso, soprattutto per la disaffezione degli abbonati, che erano stati sempre il punto di forza della rivista. Nel 2009 “Selezione” ricorre al Chapter 11, una procedura americana di bancarotta controllata, cioè un sistema per risanare i debiti per poi poter riprendere in modo sano l’attività. Ma anche questo tentativo non darà i risultati sperati tanto che nel 2013 si arriverà alla definitiva disastrosa chiusura restando un fenomeno di studio nella storia dell’editoria.

A “Sputnik”, dopo il fallito tentativo di ripetere il successo di “Selezione” (sia dal punto editoriale che da quello ideologico), resta la consolazione di essere ancora presente sul mercato. Sputnik vive ancora, sia pure solo in lingua russa per riempire di nostalgia l’animo dei sovietici ormai definitivamente lontani dalla loro terra, dallo loro “grande madre”. Ed è pur sempre qualcosa.

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