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Quartieri

NOBILPRODIGA

DEDO ROSSI - 01/10/2021

luisetta

Donna Luisetta Tola Doria Molina

La nobildonna Luisetta Tola Doria Molina percorreva il corridoio centrale della chiesa di Biumo Inferiore, avvolta nella sua pelliccia di agnellino persiano nero, la testa coperta da un ampio velo di seta nero con delicati disegni floreali. Le mani protette da guanti neri traforati, con bottone laterale in madreperla. Lo sguardo triste. Si sedeva nella panca di famiglia, prima fila a sinistra, quella con la targa in ottone con il nome del marito dottor Luigi Molina.

Rispondeva al latino della Messa con voce debole. “Introibo ad altare Dei” e donna Luisetta: “Ad Deum, qui laetificat juventutem meam”, al Dio che allieta la mia giovinezza. E poi silenzio. Chinava la testa tra le mani aperte, quasi dolenti. Sembrava vecchissima. Eppure in quel tempo, agli inizi degli anni cinquanta, avrà avuto sessant’anni (era nata a Torino il 12 gennaio 1893). Era da poco morto suo marito, il dottor Luigi Molina, erede della dinastia dei Molina, ricchissima famiglia di industriali cartari.

Era così ricca, donna Luisetta, che la voce popolare narrava che dalla sua Cartiera di Valle Olona poteva raggiungere il Seminario di Venegono (sorto su suoi terreni) percorrendo sempre terre di sua proprietà. Era ricca e generosa. Le donazioni cospicue al Seminario, alla parrocchia di Biumo e alla Casa di Riposo, che porta il nome di famiglia, si aggiungevano ad abituali donazioni silenziose, nel riserbo di situazioni private di cui era venuta a conoscenza.

Conduceva vita riservata, chiusa nella sua villa in via Brunico in cui abitavano anche alcuni parenti oltre ai domestici. Sulla villa una scritta di Orazio era stata scelta dal marito come motto di una vita: “Exagitat frondes immobile stipite ventus”, il vento agita le fronde pur rimanendo saldo il tronco. Accanto alla villa, l’azienda agricola gestita dal fattore Pigionatti, fratello di monsignor Pigionatti e nonno di Giancarlo, giornalista della Prealpina. Parte degli edifici agricoli erano ancora adibiti a stalle, negli anni cinquanta. Ma il capannone più grande donna Luisetta l’aveva fatto ristrutturare a dormitorio attrezzato per poter accogliere nel periodo invernale i cosiddetti “barboni”. E tutto questo, in modo riservato, con quella delicatezza che l’accompagnava. Dalla sua villa di Belforte usciva solo per seguire le sue opere di carità e per recarsi alle funzioni religiose in parrocchia. Viveva in modo monastico.

Era così generosa, si diceva, che qualcuno, negli anni, ne aveva approfittato. Nel 1975 donna Luisetta era finita sulla pagine dei quotidiani per una vicenda dai contorni inquieti. Chi la conosceva bene raccontava che l’essere apparsa sui giornali era stato per lei umiliante. Al centro della storia uno strano assegno. La denuncia era stata presentata da Costantino Barbavara e da Francesca Tola Barbavara di Gravellona, parenti di donna Luisetta, contro il maggiordomo e sua moglie, cuoca di casa Molina, accusati di aver ricevuto un assegno di un milione mezzo e di averlo falsificato in trentun milioni e mezzo. E di averlo successivamente incassato. La denuncia parlava di circonvenzione di incapace. Ma la posta in gioco andava ben al di là del singolo assegno. Se fosse stata dimostrata l’incapacità di giudizio di donna Luisetta si sarebbe potuta aprire una voragine con tante operazioni da verificare, dato che le elargizioni della nobildonna erano state davvero notevoli e avrebbero potuto essere tutte o in parte contestate.

Nel corso dell’indagine era emerso che la nobildonna aveva regalato al maggiordomo, allora in fase di separazione dalla moglie, un assegno di un milione e mezzo, scrivendo solo la cifra. Il maggiordomo aveva poi completato l’assegno aggiungendo un tre e trasformandolo in trentun milioni e mezzo, effettivamente incassati. Pentitosi del gesto, aveva poi confessato tutto a donna Luisetta, spiegandole di averlo fatto perché oberato da debiti di gioco che avevano provocato anche la crisi familiare. Dopo una perizia psichiatrica, dalla quale era emerso che la nobildonna era perfettamente in grado di intendere e di volere, il giudice Rovello il 25 settembre 1975 aveva rinviato a giudizio il maggiordomo per la truffa dell’assegno e aveva assolto la moglie risultata estranea al raggiro.

Sentito il racconto, preso atto del pentimento del maggiordomo e della sua volontà dichiarata di cambiare vita, donna Luisetta lo aveva perdonato, scrivendogli una commovente lettera (ritrovata in copia nel 1981, poco prima di morire) in cui si augurava che abbandonasse il vizio del gioco e si riconciliasse con la moglie.

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