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Attualità

DETTATORE

ROBERTO CECCHI - 23/04/2021

draghi-erdoganCredo che non sapremo mai se la frase di Draghi, Erdogan è “un dittatore”, sia stata una gaffe o se sia stata effettivamente voluta. Personalmente, non mi pare che sia una voce del sen fuggita, così, tanto per dire. Draghi è abituato da sempre a misurare le parole. Per questo, parlando, generalmente segue degli appunti per evitare di dire cose fuori posto. È abituato a scegliere con cura i termini che usa. Pesa le parole perché sa bene quali effetti possano avere. D’altronde, è stato questo il suo mestiere per decenni, prima come governatore della Banca d’Italia e poi come presidente della Banca Centrale Europea, quando qualsiasi parola, in più o in meno, voleva dire far salire o scendere le borse, far impennare lo spread in un verso o in un altro o dare dei contraccolpi a qualche sistema economico. Sa bene che dire una parola fuori posto può significare lo scatenamento di reazioni incontrollate, capaci di fare seri danni. Poi, ha dimostrato di saperle usare molto bene quando serve, per risolvere problemi di enorme portata, come quando pronunciò quella frase particolarmente azzeccata, wathever it takes, quel costi quel che costi del 26 luglio 2012, con cui risolse con semplicità ed efficacia una crisi finanziaria incipiente. Un’operazione chirurgica in piena regola, un capolavoro di diplomazia, che allontanò le nubi minacciose che si stavano addensando all’orizzonte della nostra fragile unione, facendo capire con chiarezza all’universo mondo, quale sarebbe stato il suo indirizzo, la sua strada e la sua forza finanziaria, dimostrando un’efficacia e una determinazione fuori dal comune. Una frase che è già entrata nell’immaginario collettivo e credo che sarà oggetto d’insegnamento per chiunque.

Quindi è difficile credere che adesso, da Presidente del Consiglio, si sia fatto prendere la mano dalla foga con una frase fuori posto. Oltretutto, non era sotto pressione. Non era accaduto niente fino a quel momento di quella conferenza stampa che lo avesse toccato personalmente, tanto da provocare una reazione fuori misura. Stava solo rispondendo a una domanda per difendere la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, dall’inciampo che aveva dovuto subire nell’incontro con Erdogan, che l’aveva costretta a sedersi su uno strapuntino, in quell’intermezzo surreale dove la figura peggiore, comunque, l’ha fatta il presidente del Consiglio Europeo, Jean Michel, per non aver saputo muovere neanche un dito per rimediare alla scortesia del presidente turco.

Comunque sia, soprattutto ad una certa età, può sempre capitare di perdere un po’ i freni inibitori e dire la prima cosa che ti passa per la testa. Ma non mi sembra sia questo il caso. È vero, come han detto in molti, che bisognerebbe essere sempre diplomatici. Che sarebbe opportuno stare attenti a quel che si dice, perché ne va dell’interesse nazionale, com’è accaduto immediatamente dopo che quella frase è stata pronunciata, perché pare che la Turchia per ritorsione abbia sospeso l’acquisto di nostri elicotteri. Ma non si può essere ipocriti oltre ogni limite, fino a nascondere la testa sotto la sabbia, dopo esser venuti a sapere quel che si sa di quel paese “Migliaia di persone vengono arrestate o perseguitate per i loro post sui social media accusati di diffamazione, insulti al presidente o diffusione di propaganda terroristica” secondo il World Report 2021 di Human Rights Watch. “Il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) del presidente [Erdogan] e un partito alleato di estrema destra godono di una maggioranza parlamentare che permette loro di consolidare il governo autoritario, approvando leggi affrettate che contravvengono agli obblighi internazionali sui diritti umani. I partiti dell’opposizione rimangono emarginati dal sistema presidenziale turco e il governo ha rimodellato le istituzioni pubbliche e statali per rimuovere i controlli sul potere e assicurare benefici ai propri sostenitori. […] L’interferenza dell’esecutivo nel sistema giudiziario e nelle decisioni dei giudici sono problemi radicati, che si riflettono nella pratica sistematica delle autorità di arrestare, perseguire e condannare con accuse di terrorismo e di altro tipo, fasulle ed esagerate, individui che il governo di Erdogan considera critici o oppositori politici”.

Dunque, è davvero esagerato ed è proprio fuori luogo dire che tutto questo ha a che fare con un comportamento dittatoriale? Per noi, nel vocabolario della Treccani è dittatore “Chi governa o esercita comunque la propria autorità in modo dispotico e intransigente, senza ammettere critiche, opposizioni, discussioni o ingerenze di alcun genere”. Dunque, il termine incriminato fotografa esattamente la situazione appena rappresentata e non c’è ragione di far dell’ipocrisia uno stile di vita, bisogna dire le cose come stanno, come ha fatto anche Joe Biden, il presidente USA, che rispondendo alla domanda di un giornalista ha accostato certi comportamenti del presidente russo al fare di un killer. È stato molto criticato per questo. Anche nel suo caso qualcuno ha avanzato il sospetto che possa trattarsi d’una questione d’età. In realtà, mi pare che abbia voluto dare un segnale chiaro, come a dire che non è possibile far finta di nulla, sempre e comunque, perché la gente non capisce più se, da una parte, viene messa al corrente di fatti censurabili e poi si vedono solo abbracci, strette di mano (oggi gomitate da Covid) e sorrisi da beota stampati in volto 24/24 h. Quindi, queste frasi scomode, sembrano più che altro una strategia di comunicazione per portarci a credere di nuovo, un po’ di più, nella politica, che finalmente prova a dare pane al pane e vino al vino. Il blocco dei vaccini per il Covid ad Anagni, la denuncia della spia italiana che lavorava per la Russia, la visita personale in Libia, sembrano tutti paragrafi di un capitolo molto più ampio, in cui s’intravede un tentativo di restituirci dignità e credibilità, scegliendo una linea condivisa con altri paesi. Lasciamogli scrivere questo libro per favore.

 

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