Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Libriamo

LA TUSA, UL BOIA

DEDO ROSSI - 23/07/2021

era-come-vestire-lacqua-1È già passato un anno, proprio di questi tempi, in un luglio allora meno caldo ma più doloroso. Conservo la fatica di ricordare Gualtiero. Non so farlo se non attraverso le sue stesse parole. Con le parole aveva giocato per una vita intera e spesso l’avevamo fatto insieme.

Nelle notti svizzere, dalla radio ticinese, per anni i racconti ironici e pacati di Gualtiero Gualtieri sono stati un appuntamento fisso con la sua trasmissione “Millevoci nella notte”. Ogni anno alcune sue chiacchierate con gli ascoltatori erano state raccolte in un volume. Era nato così “Mezz’ora prima di tutto il giorno” edito da Casagrande nel 1999. Erano seguiti “Lunario imperfetto” a cura del Giornale del Popolo di Lugano nel 2001, “Suonavamo l’allegria” per le edizioni Ulivo di Balerna. E altri ancora, fino a “Era come vestire l’acqua” del 2011, in cui viene analizzato il lessico familiare attraverso il dialetto nel corso delle stagioni.

Libro che, a dieci anni dalla sua edizione, mantiene intatta la sua freschezza, la sua ironia, la sua vivacità e insieme la sua seria analisi del linguaggio. Attraverso racconti di “allegra malinconia”, il libro ricorda parole o modi di dire a volte ormai persi per strada.

Nel capitolo “Tempo di primavera” troviamo ad esempio “La tusa bèla la nass maridada”, racconto di un amore giovanile mai nato. “Bella e impossibile. Bella e irraggiungibile, tale e quale la principessa delle favole, da salvare dal drato, per la quale nutrire sentimenti mai provati prima. Ma era impensabile parlarne a casa, impacciante parlarne con gli amici, impossibile parlare con lei, che usava il sorriso come arma di difesa, impropria quanto si vuole ma impenetrabile, e che mai si poteva incontrare da sola. Girava infatti, quel poco che i suoi la lasciavano girare per il paese, sempre a braccetto con qualche amica del cuore, tanto pettegola, tignosa, stizzosa e malmostosa, quanto lei era dove, angelica, delicata, aerea. Passò il tempo. Crescevamo. La persi di vista. Seppe poi che fu la prima a sposarsi, forse appena ventenne, con uno di fuori. Erano passati gli anni, ma la notizia del suo matrimonio punse ancora un po’, oscuramente. Mi ricordai allora di una frase del nonno, udita e memorizzata fin da piccolo: “la tusa bèla la nass maridada”, la ragazza bella nasce già maritata. Me la ripetei a scopo consolatorio cercando di crederci”.

Storie di paese, giochi della memoria. Ecco allora “Fà ul bòia e l’impicaa”, “Giudé da la Madòna dal Munt”. Per proseguire nel capitolo “Tempo di scoperta” con racconti sulla sessualità. E qui troviamo un ricordo che mi riguarda, nel racconto in cui viene ricordata mia madre che, quando alla televisione comparivano ballerine poco vestite, commentava con un giudizio severo sui tempi e sulle cose: “Che biotàm, che carnàm”, che nessuna traduzione in italiano saprebbe rendere con pari disgusto.

E in un altro racconto: “D’estate in paese arrivavano i villeggianti, anzi le villeggianti, che in quanto “cittadine” ci apparivano più libere e indipendenti. Ma anche con loro, nella stragrande maggioranza dei casi, non si andavo oltre il “fa na gran pèll d’ôcc”, una “gran pelle d’occhi”, un guardare a crepapelle insomma, espressione molto bella ed efficace”.

Attraverso il linguaggio, i modi di dire, i giri di parole dove l’ironia incontra gli altri sentimenti, abbiamo la possibilità di leggere le storie, le domande e i dubbi. Scrive lo stesso Gualtiero nella premessa: “Viene un tempo in cui tutto diventa chiaro. Per alcuni, i più fortunati, quel tempo arriva presto, quasi subito. Sono quelli che sanno fin da piccoli cosa fare della loro vita. Per gli altri tutto diventa chiaro sì, ma gradualmente, anno dopo anno, e magari a ottant’anni ancora si attende un nuovo passo verso la chiarezza, un’ulteriore illuminazione. Amore e sesso, bene e male, sole e luna, luce e ombra, la metà oscura e la metà chiara di noi stessi. E ci si mette una vita, in genere a diventare quello che si è. E a volte una non basta”.

Ecco. Ti ricordo così, in tutti questi contrasti.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login