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Lettere

DISCRIMINAZIONE: UNA SENTENZA

- 07/08/2021

Mi sembra che meriti una segnalazione la sentenza della V sezione della Suprema Corte di cassazione n. 30512 del 4 agosto 2021 (pres. Vessichelli; est. De Gregorio) , che ha respinto il ricorso proposto da tre imputati contro una sentenza della Corte d’appello di Palermo del 28 maggio 2020, che li aveva condannati per i delitti di violenza privata (art. 610 c.p.) e lesioni personali (art. 582 c.p.), con l’aggravante dell’odio razziale prevista dall’art. 604 ter c.p. («Per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità la pena è aumentata fino alla metà»).

Nella fattispecie i fatti contestati erano avvenuti nell’aprile 2018 (talvolta la giustizia non è così lenta!). Come si legge nella sentenza, tre soggetti avevano minacciato «alcuni ragazzi africani, costringendoli ad allontanarsi dal luogo ove erano salendo su un pulmino»; li avevano poi seguiti con un auto, costringendo il pulmino a fermarsi, obbligando i ragazzi a scendere, minacciandoli «anche di morte», procurando lesioni ed offendendoli con frasi del tipo «negri di merda» e «che ci fate qui tornatevene in Africa».

Mi sembra opportuno riportare un passo della sentenza in cui si afferma che l’aggravante di pena prevista dall’art. 604 ter c.p. «è configurabile non solo quando l’azione, per le sue intrinseche caratteristiche e per il contesto in cui si colloca, risulta intenzionalmente diretta a rendere percepibile all’esterno e a suscitare in altri analogo sentimento di odio e comunque a dar luogo, in futuro o nell’immediato, al concreto pericolo di comportamenti discriminatori, ma anche quando essa si rapporti, nell’accezione corrente, ad un pregiudizio manifesto di inferiorità di una sola razza, non avendo rilievo la mozione soggettiva dell’agente».

Nel caso che ci occupa, oltre alle espressioni particolarmente offensive sopra menzionate, si è considerato anche l’uso della parola «negro», affermando che «secondo l’opinione ed il linguaggio comuni ha un significato discriminatorio ed offensivo, come se denotasse di per sé una inferiorità razziale e genetica», talché è indice di «un sentimento di avversione ed odio razziale verso la persona alla quale la parola stessa è diretta».

La sentenza non è certo una novità. Quest’anno analoghi principi sono stati espressi anche dalla stessa Corte Suprema con la sentenza n. 307 del 7 gennaio scorso (pres. Zaza; est. Scarlini) in cui sono richiamati numerosi precedenti e le espressioni indici di un odio razziale («nera puttana»; «negro perditempo…»; «cinghiale bastardo, sporco arabo»; «adesso gli dai una gomma negra come lei»; «sporco negro»; «marocchino di merda»; «immigrati di merda»).

Sennonché, per quanto non sia una novità nel panorama giurisprudenziale (di cui si dà poca o nulla notizia), a me sembra opportuno segnalare questa pronuncia in un’epoca in cui:

– gli immigrati sono additati come causa di tanti problemi, volutamente ignorando sia quali sono le gravissime condizioni di vita nei Paesi di provenienza per guerre e/o carestie, sia lo sfruttamento a cui sono soggiogati nei Paesi di immigrazione (il quotidiano la Repubblica ha pubblicato un servizio speciale nell’edizione del 1° agosto u.s.), sia la necessità che di loro ha la nostra economia;

– non si esita a fomentare, in molti modi, l’odio «razziale»;

– si cerca di ostacolare la libertà dei culti, costituzionalmente garantita, non peritandosi di brandire il Crocifisso a mo’ di arma impropria, nella scia di antiche, ma sempre attuali, politiche di abuso della religione come instrumentum regni.

Riccardo Conte, Varese

 

 

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