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Parole

CANCEL CULTURE

MARGHERITA GIROMINI - 12/11/2021

cancelNel suo significato originario la “cancel culture” è un atteggiamento di colpevolizzazione che si applica a personaggi o eventi del passato, a cui fa seguito l’individuazione dei prodotti culturali che alla luce dell’oggi risultano politicamente scorretti e a causa di ciò privati del sostegno di cui hanno goduto in precedenza.

Nel mondo anglosassone sul tema si è animato un vasto dibattito che dopo qualche tempo è arrivato anche nelle TV e sui giornali italiani, provocando un affastellamento di “casi” da porre al vaglio della cultura della cancellazione che alimenta un po’ di confusione su che cosa e su chi meriti di essere spazzato via senza appello.

Talvolta sono le pagine di storia che esaltano un evento storico di cui ora ci vergogniamo e che vorremmo rimuovere dalla narrazione ufficiale.

Altre volte più banalmente vengono chiamati in causa comportamenti che la società attuale non condivide o non riconosce più come propri e che finiscono nel tritatutto della cancel culture, tendenza che porta a fare più di uno scivolone.

La riflessione sugli errori del passato è opportuna e salutare se effettuata con gli strumenti corretti.

Ma cancellare il passato non è come cambiare canale TV; o come chiedere all’emittente di sospendere un dato programma. Una revisione accurata aiuterebbe invece a riflettere sul passato, non per modificarlo a proprio piacimento ma semmai per illuminarlo di una nuova luce interpretativa.

In Spagna si è a lungo discusso sui monumenti dedicati al generale fascista Francisco Franco, morto negli anni ’70. Alcuni sono ancora presenti nelle piazze di qualche città.

Lasciarli o abbatterli?

Qualcuno vorrebbe lasciarli a perpetuo monito di ciò che è stato, purché corredati delle opportune note esplicative. Altri vorrebbero abbatterli perché parlano al cittadino e al visitatore di un passato vergognoso, del prolungato sonno della democrazia spagnola e dell’inspiegabile sottomissione del popolo al longevo dittatore.

Anche in Italia abbiamo assistito a qualche esperimento di cancel culture. Un caso è quello che ha visto una dura querelle sulla legittimità del monumento milanese a Indro Montanelli, reo di aver “comperato” per moglie una dodicenne eritrea negli anni della guerra d’Etiopia, comportamento considerato accettabile nel contesto militare di quegli anni.

Rimuovere la statua e cambiare nome ai giardini che la ospitano? Forse sì, se prevale il giudizio negativo del presente sulla sopraffazione compiuta contro le donne di quel paese negli anni del colonialismo. Forse no, se si fa pesare il corale riconoscimento dell’elevata professionalità giornalistica di Montanelli a fronte di un comportamento di una gravità indiscutibile ma risalente agli anni della sua prima giovinezza fascista.

La cancel culture ha preso di mira anche Cristoforo Colombo, la sua statua americana e i consueti festeggiamenti del Columbus Day. Nelle università americane è arrivata la richiesta di bandire i classici greci per la loro portata oppressiva nei confronti delle donne, degli schiavi, dei vinti.

Poi è stato il momento delle fiabe tradizionali dove il Principe si è chinato a baciare Biancaneve compiendo un atto “non consensuale”. Contestazioni di razzismo, machismo e prevaricazione razziale anche per gli eroi di Disney e per i francesi Asterix e Tintin.

Nel mirino dei cancellatori senza pietà è finito “Il Signore delle mosche”, distopico libro dello scrittore Nobel 1983 William Golding. Narra di un gruppo di bambini finiti su un’isola deserta, dove organizzano una società in miniatura che a poco a poco si auto disgrega: una storia sul bene e sul male presenti anche nell’infanzia. Le scuole del Canada stanno discutendo se bandirlo dai curricula dopo le proteste di uno studente afroamericano in quanto il romanzo rappresenterebbe soltanto le “strutture di potere dell’uomo bianco”.

Al bando stava per finire il film “Via col vento” accusato di razzismo, insieme con “Il buio oltre la siepe”.

Sarebbe tempo di ragionare “a freddo” sulle mode ad ogni costo.

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