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Parole

PARITÀ

MARGHERITA GIROMINI - 07/10/2022

treccani Avvocato o avvocata, chirurgo o chirurga, notaio o notaia, una questione discussa da anni ma rimasta sempre in sospeso.

In queste settimane è in uscita il nuovo dizionario della Treccani che prova a fornire linee di indirizzo equilibrate sul tema della parità di genere nella lingua italiana. Sappiamo come funziona l’italiano: ci sono nomi maschili che hanno una forma maschile e una femminile (il maestro e la maestra); sostantivi che appaiono ostici se declinati al femminile, come assessore e assessora; altri che devono essere sostenuti dall’articolo, come il giovane e la giovane.

Per entrare nel tema senza inutili ideologismi va accettata la fatica necessaria per vigilare in modo non preconcetto sulla parità di genere. Si assiste a forme di rifiuto verso i nuovi termini, anche se imparare a usarli aiuterebbe a modificare la rappresentazione dei due generi.

Poiché il pensiero è strettamente connesso al linguaggio e le espressioni che usiamo quotidianamente per descrivere il mondo sono il prodotto di un passato costellato di pesanti retaggi culturali sulle donne, una società moderna potrebbe impegnarsi di più a rimuovere gli ostacoli linguistici evidenti. Termini come avvocata, sindaca, architetta, soldata, notaia, medica o chirurga possono suonare forzati ma il problema non è la presunta cacofonia quanto piuttosto lo scarso utilizzo di un linguaggio che cerca parole nuove per esprimere al meglio le nuove istanze sociali.

In passato era accettata universalmente la convenzione, divenuta poi regola, che stabiliva di fatto l’esistenza di un genere dominante, quello maschile. Oggigiorno usare il maschile potendo disporre di un corrispondente di genere nasconde per talune donne la necessità di essere definita o di definirsi avvocato perché più prestigioso, quasi che la declinazione al femminile riduca l’importanza di professioni un tempo solo maschili.

Sul tema dei generi nella lingua italiana il team degli esperti Treccani offre risposte che ristabiliscano una sorta di equilibrio tra i generi. Il Treccani sarà dunque il primo dizionario italiano a inserire le forme femminili di nomi e aggettivi insieme a quelle maschili, in stretto ordine alfabetico.

Così, cercando per esempio “bello” o “adatto”, ci si imbatterà nella forma femminile. In ordine strettamente alfabetico verrà prima “bella” e poi “bello” e “adatta e adatto”. Anche i nomi identificativi di professioni avranno la loro autonomia lessicale: notaia, chirurga, medica, soldata, architetta e così via.

L’impegno dei compilatori, sono parole loro, si basa sulla speranza che “quando tra molti anni le ragazze che avranno un mestiere e un ruolo nella società, dovessero ancora sentire qualche obiezione sul termine che indica la loro professione, potranno ribattere che lo dice la Treccani!”

Una lingua inclusiva può attribuire dignità linguistica ad ogni soggetto, rifiutando esempi d’uso formulati con parole contenenti stereotipi di genere: la donna svolge i lavori di casa, l’uomo si reca in ufficio, il papà legge il giornale mentre la mamma stira. Infatti non solo le donne possono stirare e non solo gli uomini sanno dirigere aziende.

Purtroppo dall’alto non arrivano buoni esempi di parità linguistica.Il Senato uscente ha bocciato la proposta di “ristabilire i criteri generali affinché nella comunicazione istituzionale e nell’attività dell’amministrazione sia assicurato il rispetto della distinzione di genere”. Pertanto, purtroppo, nelle comunicazioni ufficiali l’Aula continuerà a chiamare le donne senatore, ministro, sottosegretario.

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