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RIECCOLO

MARCO ZACCHERA - 11/11/2022

finiPrima l’intervista alla stampa estera, poi il ritorno in TV dall’Annunziata, ovvero giocando subito in trasferta: due indizi non fanno una prova. ma in molti si chiedono se Gianfranco Fini non stia meditando un suo rientro in politica dopo un decennio di totale oscuramento.

Conoscendolo personalmente non credo ad un suo rientro e tantomeno che vorrà pubblicamente schierarsi per un singolo partito, ma non c’è dubbio che il nuovo scenario a guida Meloni abbia riportato interesse su un personaggio che – comunque giudicato – aveva dimostrato per vent’anni la volontà e la possibilità concreta di rinnovare profondamente la destra italiana ponendosi come naturale successore a Berlusconi.

Mai come in questo governo (e lo conferma anche la lista dei sottosegretari) quella che fu la sua classe dirigente in Alleanza Nazionale è tornata ad occupare molte caselle nei dintorni di Palazzo Chigi, ma non è questo il punto.

Il percorso politico di Fini è stato infatti una progressione politica che è partita fondando Alleanza Nazionale dalle ceneri del fu Movimento Sociale (1995) ma poi, negli anni, ha assunto posizioni a volte contrastanti con il volto di una destra tradizionalista, conservatrice e in qualche modo “convenzionale”.

Chi ricorda il percorso politico di Fini – prima ancora di lasciare Berlusconi in modo traumatico prima dissociandosi dal governo e poi per fondare “Futuro e Libertà” – ricorderà che su diversi temi “civici” od etici la linea di Fini era diversa perfino da quella del proprio partito, si pensi a quella sui referendum sulla procreazione assistita, e non è un caso che ad un certo punto con lui si schierarono persone che oggi – come Della Vedova – sono riapprodate su posizioni radicali o di +Europa, nei diretti paraggi del PD.

Riascoltando Fini dall’Annunziata mi è parso che abbia piuttosto indossato le vesti del “padre nobile” ritenendo – in fondo con giusta ragione – di aver avuto il merito di lanciare quel rinnovamento a destra per un successo che oggi in qualche modo viene raggiunto dalla Meloni, ma di cui Fini si ritiene il precursore ed in definitiva il padrino.

L’ex presidente della Camera ha più volte ribadito di non voler dare consigli a nessuno, di non voler porsi come un grillo parlante alle spalle della premier (con cui però non ha smentito di aver ripreso i rapporti) ma piuttosto di continuare a pensare che la destra italiana debba andare non solo oltre alla ormai vetusta polemica fascismo-antifascismo, ma soprattutto deve muoversi più spedita sul campo dei diritti civili, dell’integrazione, di una maggiore visibilità ed indipendenza dell’Italia nella politica internazionale.

Fini comprende bene – credo con personale grande amarezza – di essersi “bruciato” per colpe proprie, ma soprattutto per aver sottovalutato la continuità di Berlusconi (ma il Cavaliere sembra inossidabile), arrivando ad ammettere pubblicamente di aver sbagliato facendo confluire Alleanza Nazionale del “Popolo della Libertà” di fatto a guida Cavaliere.

La storia non si costruisce con i “se”, piuttosto Fini ci tiene a ricordare che con la Meloni la destra italiana ha per ora concluso la sua traversata oceanica verso la premiership dopo che lui stesso – e questa è una verità – per primo si mise a scioglierne le vele.

Gli anni passano, ogni stagione ha un suo tempo e non credo quindi che Fini voglia tornare “in politica” ma penso che lo ascolteremo più spesso, anche perché intervenendo dall’Annunziata si è confermato sobrio, concreto, propositivo almeno per i molti italiani che in lui avevano visto un suo futuro da premier e ne erano rimasti profondamente delusi dieci anni fa.

In qualche modo il tempo ha rimarginato certe ferite, ed ecco che si percepisce la classe e la preparazione politica di un personaggio che resta comunque al di sopra della media politica italiana di questi anni e di molti suoi leader improvvisati.

Come per Almirante nei suoi confronti a fine anni ’80 è forse scritto che tocca ad altre generazioni gustare il successo, comunque tenendo sempre accesa quella fiamma di continuità ideale della destra italiana che – al di là del facile gioco di parole legato al simbolo di FdI – è però comunque una realtà.

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