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Politica

SPEZZATINO

ROBERTO CECCHI - 27/01/2023

autonomiaIn quest’inizio di 2023 la politica discute sostanzialmente di due temi: il presidenzialismo e l’autonomia regionale. Argomenti che si trovano in cima ai programmi dei partiti della coalizione di Governo e, dunque, rappresentano delle vere e proprie promesse elettorali da onorare. Argomenti complessi che andrebbero trattati come si deve, sulla base di un’informazione ampia e circostanziata e invece, soprattutto il secondo, è un tema che compare solo a tratti nelle cronache dei giornali e delle Tv. Scivola via dall’attenzione dell’opinione pubblica, come una saponetta sul pavimento bagnato, perché tutti quanti siamo un po’ distratti da tante cose, a cominciare dalle difficoltà economiche in cui ci troviamo, per effetto di questa sciagurata guerra d’aggressione della Russia all’Ucraina. E così, almeno per ora, l’autonomia regionale è un argomento carsico, che compare e scompare, apparentemente rimane in disparte, in secondo piano e, proprio per questo suo essere sfuggente, rischia di passare senza troppi ostacoli e senza la consapevolezza che l’assetto (il futuro) del Paese passa proprio da qui, da riforme come questa. L’ultima modifica costituzionale, quella del Titolo V, del 2001, di ben minore portata e a cui questa prospettata riforma si rifà, ebbe un percorso analogo e fece danni in alcuni settori cruciali del nostro ordinamento che non sono mai stati riparati.

Dunque, di che si tratta? Intanto, il tema non è esattamente quello dell’“autonomia”, ma dell’“autonomia differenziata”, cioè, di una particolare forma di autonomia, riservata ad alcune regioni d’Italia, quelle considerate (che si considerano) più brave, più sviluppate e più ricche – Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna (poi se ne sono aggiunte altre) – le quali nel 2017 chiesero di poter avere uno status particolare, sulla base di quanto previsto dal terzo comma dell’art. 116 della Costituzione, modificato appunto dalla riforma costituzionale del 2011. Le materie per cui si chiede l’autonomia, stando ai resoconti disponibili, dovrebbero essere “salute, istruzione, università, ricerca scientifica e tecnologica, lavoro, giustizia di pace, beni culturali, tutela dell’ambiente, rifiuti, bonifiche, caccia, difesa del suolo, governo del territorio, infrastrutture stradali e ferrovie, rischio sismico, servizio idrico, commercio con l’estero, agricoltura e prodotti biologici, pesca e acquacultura, politiche per la montagna, sistema camerale, coordinamento finanza pubblica regionale, enti locali” (Pallante). Un’enormità di materie.

La ragione per cui si chiedono queste ulteriori competenze è perché le regioni assicurano di essere capaci di fare meglio di quanto non sappia fare la gestione statale. Ammettiamo pure che sia vero (ma non lo concediamo affatto), tuttavia quel che ne vien fuori, lo vedrebbe anche un cieco, è che del Paese attuale resterebbe ben poco. Il risultato sarebbe, caso unico al mondo, uno spezzatino istituzionale con “quattro regioni a statuto speciale, due province autonome, un certo numero di regioni ad autonomia potenziata (ognuna con ambiti un po’ diversi) e poteri centrali con la responsabilità delle politiche e dei servizi nei ritagli di Paese residui” (Viesti 2019). Con la creazione, oltretutto, di ulteriori disuguaglianze sociali, quelle che tutti, a parole, vorrebbero sanare, perché la riforma prospettata prevede che i servizi erogati vadano correlati al gettito fiscale. Per cui, contro ogni logica, vivendo in una regione a maggior reddito si ha diritto a più e migliori servizi (Viesti 2023). Non a caso, si è detto che questa riforma è “la secessione dei ricchi”.

Non è possibile approfondire ulteriormente. Ma certamente va sottolineato un fatto: è una riforma voluta non solo dai partiti di governo (non tutti, per la verità), ma anche da una parte dell’attuale opposizione. Perché si dà il caso che uno dei maggiori “azionisti” dell’iniziativa sia la regione Emilia-Romagna e il suo presidente, candidato adesso alla segreteria del Partito Democratico. Giustamente, com’è stato detto, bisognerebbe conoscere il suo pensiero in questo momento, mentre si trova sulla soglia della nuova investitura politica. Perché, a suo tempo, l’argomento ha suscitato prese di posizione contrarie all’interno del suo stesso partito e non ha trovato tutto il sostegno politico che serve, neanche nella sua regione. Per adesso non è stata proferita parola. E quindi, non c’è che aspettare, nella speranza che nel frattempo la questione diventi un argomento aperto alla collettività nazionale, nelle forme più ampie e più chiare possibile. Affinché si possano fare scelte consapevoli e non orribili compromessi al ribasso.

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