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Attualità

NEMICO FRAGILE

EDOARDO ZIN - 16/06/2023

????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????Non c’era bisogno di Benedetto Croce – che comunque ha fatto bene a scrivere questa frase – per riconoscere che “la violenza non è una prova di forza, ma di debolezza.”

Lo accertiamo ogni giorno. La guerra è provocata dalla constatazione di un “malato” che non si sente così forte come vorrebbe, capace di distruggere un intero paese e di trascinare nella stessa sorte il pianeta. È una patologia della storia: all’inizio del secolo scorso, la guerra era una guerra di trincea, ma la battaglia si estendeva alle città, che divennero il principale teatro di guerra nella seconda. Oggi la guerra è un immane massacro provocato da armi azionate dai bottoni di macchine micidiali. Eppure accanto ai guerrafondai, agli aggressori ci sono uomini che continuano a credere nella pace. Come si è arrivati all’aggressione per mezzo di parole usate a sproposito per accusare l’avversario di crimini mai commessi, con il potere delle parole potremmo essere in grado di fermare le quotidiane stragi: è il tempo della diplomazia, dell’incontro, del dialogo.

Ho vissuto quattro anni della seconda guerra mondiale, ne ho seguite altre a domicilio, vissute interamente su una poltrona: il Vietnam, la guerra civile nei Balcani, la guerra del Golfo, quella in Irak, il Pakistan… Ogni guerra ha lasciato dietro di sé non solo morte di innocenti, rovine di infrastrutture, danni economici, ma ha scatenato pulsioni che annientano e ancora oggi spargono violenza, che respiriamo anche attorno a noi. Ci sono potenti vicini: il padrone della famiglia, il proprietario dell’azienda che schiavizza i suoi dipendenti, l’uomo forte della scuola…

La violenza copre le pagine dei giornali, si amplifica sugli schermi televisivi, scorre per le strade, scivola lentamente nella scuola con il bullismo, si insinua nelle famiglie, si infiltra sugli spalti degli stadi, inquina perfino l’animo di chi dovrebbe proteggere i più fragili ai quali infligge con sadismo e perversione torture, dolori che lasciano cicatrici, entra nelle case dove i padri picchiano i loro figli perché il loro dolore li infastidisce. I campi di concentramento oggi sono nelle nostre strade, dove vivono migranti senza casa né lavoro, di donne che si vendono per comperarsi l’ultimo abito alla moda, di zingari con le unghie sporche e i capelli unti che ti chiedono l’elemosina e che vengono allontanati perfino dalle porte della chiesa. E poi ci sono i senza tetto, i tossicodipendenti, gli alcoolizzati, coloro che hanno il colore della pelle diversa dalla nostra.

Conosco uno di quei “barboni” contro cui si accanisce la città estetizzante. Mi aspetta ogni giorno alla fermata dell’autobus, non è aggressivo perché non è in competizione con nessuno, non ha lavoro, lottare gli sembra simile ad un omicidio. Mi si avvicina, io gli allungo delle monete e poi, tutto appagato, ritorna da me e mi fa vedere il trancio di pizza che ha comperato. Questo barbone è un testimone silenzioso della vita della città. Ignora di vivere in un mondo violento, dominato da ragazzini che esprimono la violenza con la parola, con il sarcasmo che diventa disprezzo, con il potere del despota, con i pestaggi del branco.

Non sa che cosa siano i femminicidi. Non sa che c’è chi uccide e poi si vanta del coraggio e dell’eccezionalità del gesto diventando un mostro guidato da un mistero affollato di altri mostri. Non sa che un uomo può violentare un bambino solo per una convulsione di piacere: quel bambino ha bisogno di aiuto e la violenza lo lascerà per sempre nella paura. Non sa che ci sono donne e uomini che usano la loro libertà per maneggiare il loro odio ideologico come un’arma per il solo piacere di spargere odio.

L’uomo potente annichilisce la propria umanità poiché non è un uomo. L’uomo mite non è violento. L’uomo delle periferie esistenziali è un fragile.

Penso alla mia fragilità di nonno a confronto con la fragilità del mio ultimo nipote: ci parliamo con il silenzio, con lo sguardo e mi accorgo della distanza tra il tempo in cui ero padre e quello attuale con i capelli bianchi. Sento di aver bisogno dei nipoti lontani, degli amici perché vivere significa essere in comunione con gli altri. In questo desiderio c’è la mia forza. Potesse capire l’uomo potente che si crede forte che addosso ha solo la sua fragilità: un uomo miserabile e infelice, ubriaco di illusioni e di inganni.

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