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Chiesa

DON CAMISASCA DIVENTA VESCOVO

ANNALISA MOTTA - 12/10/2012

Il 7 dicembre, festa di Sant’Ambrogio, monsignor Massimo Camisasca sarà ordinato vescovo nell’arcibasilica papale di San Giovanni in Laterano a Roma: destinazione, la diocesi di Reggio Emilia – Guastalla. La notizia ha messo in fibrillazione il paese di Leggiuno, patria d’adozione del sacerdote milanese, che qui ha mosso i suoi primi passi e frequentato le scuole elementari, tornando ogni estate per godere un poco della pace lacustre: già si sta pensando a una partecipazione in massa alla cerimonia.

E mentre sui media c’è chi si diletta a tenere il conto dei vescovi “ciellini” sparsi per l’Italia, chi si esercita in fantasiose dietrologie sulla genesi di questa ordinazione e chi avanza ipotesi sul vento che tirerebbe nella Chiesa (progressista o conservatore), lui, don Massimo, cosa ne pensa? Come sta vivendo questa nuova e diversa vocazione, che sembra strapparlo al ruolo pesante e difficile, ma consolidato, di Superiore generale della fraternità sacerdotale missionaria da lui stesso fondata nel 1985?

“È una decisione – scrive don Massimo nella lettera ai suoi sacerdoti e seminaristi – che mi onora e soprattutto onora la nostra Fraternità. Gli stretti legami affettivi e vocazionali che intercorrono tra me e voi mi obbligano però a dirvi anche altre parole. Avrei desiderato poter restare sempre con voi e occuparmi interamente e solo di voi. Non solo nulla ho fatto per avere altri incarichi, ma tutto ho tentato per non averli… Infine mi sono rimesso obbediente alla volontà del Santo Padre”.

Con la schiettezza che lo contraddistingue – non per nulla è stato ed è padre spirituale di centinaia di giovani e consigliere prezioso di tante famiglie – don Massimo non nasconde la sua fatica e anche, sì, una resistenza dell’animo a seguire vie che non erano preventivate né desiderate. Come capita a chiunque di noi quando, lungo il cammino della vita, ci si imbatte in quelle”sorprese” che Dio riserva ai Suoi amici (ricordate la frase di Santa Teresina “Ora capisco, Signore perché ne hai così pochi!”). Continua don Massimo: “Con la confidenza che posso permettermi con voi, non vi nascondo che, nell’approssimarsi di questa giornata, ho vissuto momenti di sgomento. Lasciare le persone che con me vivono da molti anni in un legame intensissimo di corresponsabilità, lasciare il quotidiano rapporto con i seminaristi, vivere in una nuova città, affrontare nuove responsabilità… tutto questo per me è stato fonte di grande pena. Mi sono abbandonato infine alla volontà di Dio e ho ritrovato la pace collocandomi nelle braccia della madre di Dio, Maria santissima”.

Fraternità, per don Massimo e per i suoi sacerdoti, non è infatti solo un vocabolo ripescato dalla tradizione, ma una vera e propria regola di vita, che chiede ai suoi membri una condivisione spirituale e materiale (vivere nella stessa casa e mettere in comune i beni), nel nome dell’amicizia cristiana. Una regola di cui don Massimo ha sperimentato la bontà in trentasette anni di cammino sacerdotale E sono proprio questi cardini della sua vita ad aprire la lettera indirizzata al nuovo gregge: “Cari fratelli e cari amici, in queste due parole, fraternità e amicizia, sta racchiuso il senso profondo del mio venire tra voi come vescovo della Chiesa di Reggio Emilia – Guastalla…”.

Come ai suoi giovani sacerdoti – oggi presenti in una trentina di nazioni, dall’ Estremo Oriente all’Africa alle due Americhe – anche al loro “padre” è chiesto oggi di lasciare la casa e gli amici, per ritrovare altrove una nuova casa e nuovi fratelli. E lo fa con questa certezza: “Quando uno di loro conclude il suo itinerario e viene ordinato, quando mi dice “Sì” rispetto a una nuova destinazione missionaria, penso al sì di Maria, che è lo spazio eterno e temporale di ogni sì. Ogni vocazione scaturisce e viene accompagnata permanentemente da quella obbedienza. Anch’io mi chiedo ogni volta, e mi sono chiesto soprattutto quando ho visto partire i primi missionari per la Siberia, e poi quelli per Taiwan: ‘Che cosa può permettere a un ragazzo di andare così lontano, e per sempre?’. Soltanto la scoperta che egli, in realtà, ha ottenuto una tale pienezza di vita e di doni da non perdere nulla”.

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