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Chiesa

IL CONCILIO VATICANO E LA COMUNIONE NEL MONDO

don ERNESTO MANDELLI - 08/11/2012

Ho avuto la fortuna di incontrare il cardinale Angelo Roncalli nel luglio 1958 a Sotto il Monte, suo paese natale, insieme ad alcuni amici, poco tempo prima che fosse eletto Papa (28 ottobre 1958).

Ci ha trattenuto per oltre un’ora a conversare amabilmente della situazione della Chiesa, parlandoci anche dei suoi ricordi familiari. Per l’educazione ricevuta un cardinale era per me una persona inarrivabile, da guardare dal basso in alto. In pochi momenti tutte quelle paratie erano cadute, mi sono trovato di fronte a un uomo dalla umanità semplice, immensa e avvolgente.

Quando nel gennaio 1959 Giovanni XXIII diede al mondo l’annuncio del Concilio la gioia fu grande per quella notizia che prendeva tutti di sorpresa. Riconobbi in quel gesto un cuore grande capace di accogliere e abbracciare l’umanità e i suoi problemi. Accanto alla sorpresa dell’annuncio va ricordato il coraggio di questo Papa di indire il Concilio pur di fronte “alle voci di alcuni… non capaci di vedere oltre che rovine e guai, come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita” (Discorso di apertura 11ott.1962).

In questo modo il Papa mentre affermava che “è necessario prima di tutto che la Chiesa non distolga mai gli occhi dal sacro patrimonio della verità ricevuta dagli antichi; insieme ha bisogno di guardare anche al presente, che ha comportato nuove situazioni e nuovi modi di vivere, ed ha aperto nuove vie all’apostolato cattolico” (idem). Quindi fedeltà al passato ma anche deciso rinnovamento per un nuovo cammino della Chiesa: questo binomio ha accompagnato tutto il Concilio ed è stata l’ispirazione dalla quale sono nati i vari documenti. Così scrive il cardinale Leon Joseph Suenens (Belgio): “Stavamo per assistere al tramonto di un’epoca, erede di un lungo passato… nella continuità di fondo, ma anche in una nuova prospettiva che avrebbe posto in primo piano una concezione della Chiesa arricchita dal ritorno alle fonti” ( Suenens-Ricordi e speranze – edizioni Paoline).

Non sono quindi mancate tensioni con la Curia romana soprattutto nella persona del cardinale Ottaviani per il quale “il Sant’Uffizio (oggi Congregazione per la dottrina della fede) era più importante del Concilio… gli schemi elaborati per sua cura, riteneva, non dovevano essere rimessi in causa in sede di Concilio. A suo giudizio i Padri potevano solamente discuterne le modalità ed era convinto che Giovanni XXIII stava portando alla rovina la Chiesa” (Suenens – idem). Il vescovo brasiliano Helder Camara scrive: “Il Concilio sarà difficilissimo. Le Sacre Congregazioni credevano che sarebbe stato facile pensare per i Vescovi e decidere al posto loro” (Camara, Roma due del mattino, Sanpaolo).

Ho vissuto il tempo del Concilio con grande entusiasmo ammirando la volontà chiara del Papa e della maggior parte dell’episcopato di pensare al rinnovamento della Chiesa per il nostro tempo. Una parola può esprimere la sintesi dei lavori del Concilio: comunione. Si potrebbe ricordare i quattro documenti principali con questa sintesi: “Dio entra in comunione con l’umanità attraverso la sua Parola (La divina rivelazione), attraverso la memoria della morte e la risurrezione di Gesù (la sacra Liturgia), attraverso la Chiesa, i discepoli di Gesù radunati dallo Spirito (La Chiesa), e aperti al dialogo con il mondo intero (Chiesa e mondo moderno).

ALCUNI TEMI

Liturgia

Avevo celebrato la prima Messa in latino, volgendo le spalle al popolo. Ora finalmente potevo leggere alla gente la Parola di Dio, nella lingua corrente a loro rivolto. Per il popolo di Dio è stato il primo grande segno del cambiamento. Inoltre è sta avviata all’interno della Chiesa la riflessione con la fortunata formula “È l’Eucarestia che fa la Chiesa ed è la Chiesa che fa l’Eucaristia”: la gente radunata attorno alla Eucaristia sa di essere il popolo di Dio.

Attualmente il rischio delle nostre celebrazioni può diventare quello di essere troppo legati a norme giuridiche, così da apparire formali e ripetitivi. Certamente l’obiettivo più alto resta quello di trovare le modalità celebrative per vivere e far vivere il mistero dell’amore di Cristo nella memoria della sua morte e risurrezione.

La Chiesa

Paolo VI amava ripetere questa frase: ”Chiesa, cosa dici di te stessa?” Esprimeva in tal modo l’ansia sua condivisa dai Padri per la ricerca del volto evangelico della Chiesa.

Ancora negli anni ’50, quindi poco prima del Concilio, nei seminari si insegnava che la Chiesa è “società perfetta”, formata da gerarchia e fedeli. Tale definizione risaliva al cardinale Bellarmino (1500) e si opponeva evidentemente alle società civili ritenute meno perfette. Il Vaticano II ha riscoperto la natura della Chiesa in termini biblici: la Chiesa è mistero di Dio, popolo di Dio, identica è la dignità dei battezzati, che esprimono in diversi ministeri il loro servizio alla comunità. Viene però usata ancora la terminologia “gerarchia”, non molto felice e non in sintonia con il Vangelo. Gesù infatti dice ai suoi discepoli: “Chi vuol essere il primo sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti” (Mc.9,35).

I Vescovi di tutta la Chiesa, radunati in Concilio in comunione col Papa, erano i successori del collegio apostolico voluto da Gesù. La libertà di ricerca e di parola in Concilio è stata il segno dello Spirito, che guida la sua Chiesa e soffia come vuole e dove vuole. Questa esperienza di libertà evangelica traspare dai lavori del Concilio ed è stata gioia per tutta la Chiesa. La stessa esperienza di responsabilità collettiva è auspicabile si realizzi anche nel Sinodo dei Vescovi, che attualmente ha solo funzione consultiva: è il tema della collegialità dell’Episcopato.

Chiesa e mondo

La costituzione “Chiesa nel mondo contemporaneo” inizia con le parole: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo…”. Un avvio che esprime in maniera felice lo stile con il quale la Chiesa intende mettersi in dialogo con il mondo. Questo documento fu accolto con simpatia dalla società civile, oltre che dai laici impegnati nella Chiesa. Leggendo il testo ci si rende conto che è attraversato costantemente da due attenzioni: che cosa la Chiesa può dare al mondo e che cosa il mondo può offrire alla Chiesa. Era la modalità corretta e indovinata per mettersi in dialogo con il mondo, cogliendone gli aspetti positivi ed evitando quindi giudizi e condanne.

Laici

È ampio il discorso sui laici che il Concilio ha elaborato. Ma una cosa almeno va detta: la dignità dei laici è stata affermata in questi termini: “Uno è quindi il popolo eletto di Dio <uno solo il Signore, una sola fede, un solo battesimo> (Ef.4,5); comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo…” (G.S.32). Oggi viene ancora usata la terminologia ‘sacerdote e fedeli’ che non risponde alle intenzioni del Concilio. Per il Nuovo Testamento l’unico sacerdote è Gesù e tutti i discepoli di Cristo sono “la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato” (1Pt 2,9). Oggi ancora purtroppo permangono formule come ‘clero e fedeli’ ‘sacerdote e laici’. Dovremmo riprendere la terminologia usata nel Nuovo Testamento: Vescovi, presbiteri, diaconi, discepoli… ricordando che nella Chiesa tutti siamo ministri e servi sull’esempio di Gesù che è “venuto non per essere servito ma per servire” (Mc 10,45).

 

Chiesa povera e serva

Il desiderio di una Chiesa povera era molto vivo in buona parte dei Padri conciliari. Paolo VI compì alcuni gesti significativi: abbandonò l’uso della sedia gestatoria, depose sull’altare delle offerte la Tiara-triregno, simbolo del potere temporale, e il ricavato della vendita doveva essere devoluto ai poveri. Il Vescovo Helder Camara scrive: “Il santo Padre ha affidato al cardinale Lercaro la missione di vigilare affinché gli schemi del Concilio si imbevano dell’idea di Chiesa povera e serva” (Camara, idem): Lo stesso cardinale Lercaro pronunciò un discorso memorabile sulla povertà della Chiesa. Numerosi sono stati gli appelli perché i Vescovi si liberassero dei titoli onorifici (eminenza, eccellenza, monsignore…) e adottassero una vita semplice di stile evangelico.

Oggi il tema della povertà della Chiesa si impone almeno per due motivi: anzitutto per una fedeltà a Cristo che “da ricco che era si è fatto povero” (2 Cor. 8,9). È in questione la credibilità stessa della Chiesa. Inoltre perché in questo nostro tempo l’imperialismo del denaro a livello mondiale e gli stili di vita, derivati dal benessere materiale e dal consumismo, sono diventati gli idoli della società contemporanea. Di fronte a questa religione pagana gli strumenti della Chiesa sono da sempre l’annuncio del Vangelo e la pratica concreta di una vita di fraternità e povertà, come proposte alternative alla cultura materialistica del denaro.

Infine resta costante e drammatico l’interrogativo di Gesù: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8).

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